Rigopiano, 5 condanne e 25 assoluzioni. Caos e urla in aula: “Vergognatevi”
Il gup del tribunale di Pescara Gianluca Sarandrea ha condannato 5 imputati per la tragedia dell’hotel Rigopiano di Farindola avvenuta 6 anni fa dove hanno perso la vita 29 persone.
La furia dei familiari delle vittime
Caos in aula dopo la lettura della sentenza: alcuni dei familiari hanno applaudito sarcasticamente il giudice Gianluca Sarandrea, per poi gridargli contro “ti devi vergognare, è uno schifo, questa non è giustizia”. Lacrime e urla in aula, tanto da richiedere l’intervento di poliziotti e carabinieri, costretti a bloccare la tentata aggressione al giudice, blindato in aula. “Signor giudice non finisce qui”, “peggio di così”, “ma come si è permesso? Ma non si vergogna?”: un sopravvissuto alla strage di Rigopiano in cui ha perso la moglie ha urlato così al giudice, appena ascoltata la sentenza. “In cinque faticavamo a tenerlo”, ha detto un familiare di un’altra vittima uscendo dall’aula.
“Ci vogliono vedere a terra, ma noi rimaniamo combattivi come sempre”. Così i familiari delle vittime di Rigopiano al tribunale di Pescara dopo la lettura della sentenza. “Nessuno di noi si aspettava questo risultato – dice Mariangela, mamma di Ilaria Di Biase – Almeno fino all’arrivo di tante forze dell’ordine in aula. Certo non speravamo nell’accoglimento delle richieste della Procura, ma nemmeno questa vergogna. Stamattina a Ilaria ho chiesto pensaci tu, ma non è servito. Andiamo comunque avanti, mia figlia è accanto a me, io la sento”.
Rigopiano, la sentenza
I condannati sono: l’ex sindaco Lacchetta Ilario a 2 anni e 8 mesi per omicidio plurimo colposo per la «omissione dell’ordinanza di inagibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano». Condanna a 3 anni e 4 mesi ciascuno per D’Incecco Paolo e Di Blasio Mauro ritenuti responsabili come dirigenti della Provincia per la loro condotta relativa al «monitoraggio della percorribilità delle strade rientranti nel comparto della S.P. 8, ed alla pulizia notturna dalla neve ovvero a quella relativa al mancato reperimento di un mezzo sostitutivo della turbina Unimog fuori uso, nonchè alla mancata chiusura al traffico veicolare del tratto stradale della provinciale nr 8 dal bivio Mirri e Rigopiano».
Condannati a sei mesi di reclusione ciascuno per falso l’ex gestore dell’albergo della Gran Sasso Resorto Di Tommaso Bruno e il redattore della relazione tecnica di intervenire sulle tettoie e verande dell’hotel Gatto Giuseppe. Condannati, inoltre, in solido gli imputati Lacchetta Ilario, D’Incecco Paolo, Di Blasio Mauro, Di Tommaso Bruno e Gatto Giuseppe al pagamento delle spese processuali.
L’accusa aveva chiesto, invece, condanne per 151 anni di reclusione per i 29 imputati e una società.
Le fasi del processo
Il processo sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) ha preso il via il 16 luglio 2019 e, dopo un lungo stop dovuto anche all’emergenza Coronavirus, è decollato nel 2022. Un iter piuttosto lungo dovuto sia ai rinvii legati a questioni tecniche che si sono presentate durante le udienze, come ad esempio la super perizia disposta dal giudice e le arringhe dei numerosi difensori, sia alla pandemia.
La vicenda giudiziaria davanti al gup del tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, conta in totale 30 imputati (29 persone e una società), che sono stati giudicati con il rito abbreviato. Nel procedimento sono state riunite l’inchiesta principale e quella sul depistaggio. Nello specifico, il filone principale conta 25 imputati, con accuse, a vario titolo, che vanno dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico.
Nel filone relativo al reato di frode in processo penale e depistaggio le persone sotto accusa sono invece sette, ma due di loro sono imputate anche nell’inchiesta madre. Gli imputati, appartenenti a varie istituzioni come Regione, Provincia, Comune di Farindola, Prefettura, sono: Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola; Antonio Di Marco, ex presidente della Provincia; Francesco Provolo, ex prefetto Pescara; Bruno Di Tommaso, gestore dell’albergo e amministratore e legale responsabile della società «Gran Sasso Resort & SPA» Paolo D’Incecco, dirigente del servizio di viabilità della Provincia di Pescara; Mauro Di Blasio, responsabile del servizio di viabilità della Provincia di Pescara, Enrico Colangeli, tecnico comunale Farindola; i dirigenti regionali Carlo Giovani, Carlo Visca, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera; gli ex sindaci di Farindola, Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, ex sindaco Farindola; Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica allegata alla richiesta della Gran Sasso spa di intervenire su tettoie e verande dell’hotel; Antonio Sorgi, dirigente regionale; Sabatino Belmaggio, dal 2010 al 2016 responsabile dell’ufficio Rischio valanghe della Regione; Andrea Marrone, consulente incaricato da Di Tommaso per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni; Luciano Sbaraglia, tecnico geologo; Giulio Honorati, comandante della Polizia Provinciale di Pescara; il tecnico Tino Chiappino, tecnico; Leonardo Bianco, ex capo di gabinetto della Prefettura Pescara; Ida De Cesaris, dirigente della Prefettura; l’imprenditore Paolo Del Rosso; Vincenzo Antenucci, dirigente Servizio prevenzione rischi e coordinatore del Coreneva dal 2001 al 2013); la società Gran Sasso Resort & Spa srl; i due ex vice prefetto Salvatore Angieri e Sergio Mazzia; i dirigenti della prefettura, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo, Daniela Acquaviva.
L’inchiesta principale si è focalizzata su tre nodi principali: la mancata realizzazione della carta valanghe; le presunte inadempienze relative alla manutenzione e sgombro della strada di accesso all’hotel; il tardivo allestimento del centro di coordinamento dei soccorsi. C’è poi la vicenda del depistaggio, che vede coinvolti i prefettizi, i quali, secondo l’accusa, nonostante fossero stati sollecitati a fornire agli investigatori ogni elemento utile alle indagini, avrebbero omesso di riportare nelle loro relazioni, le segnalazioni di soccorso che il 18 gennaio 2017 erano pervenute in Prefettura, in particolare da parte del cameriere Gabriele D’Angelo, una delle 29 vittime.
Nel corso del processo l’accusa – rappresentata dal procuratore capo, Giuseppe Bellelli, e dai pm Andrea Papalia e Anna Benigni – ha chiesto 26 condanne per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione e quattro assoluzioni. Le richieste di condanna più pesanti hanno riguardato l’ex prefetto Provolo e il sindaco Lacchetta, per i quali la Procura ha chiesto rispettivamente 12 anni e 11 anni e 4 mesi di reclusione. La difesa nelle arringhe ha puntato sostanzialmente, nella maggior parte dei casi, a una sorta di rimpallo di responsabilità fra enti coinvolti e sull’imprevedibilità dell’evento valanga.
«Uno scontato e prevedibile scaricabarile» per i familiari delle vittime, i quali hanno affrontato la fase più dolorosa del processo ascoltando le arringhe difensive che in più di una occasione ha suscitato in loro un certo sdegno. Non sono infatti mancati in Aula momenti di disappunto, in particolare quando si è parlato dell’unica strada che porta all’hotel rimasta bloccata.
La Procura ha replicato puntualizzando le accuse, depositando una memoria di circa 300 pagine e confermando le richieste di condanna: «Chiediamo – ha detto in Aula il procuratore – una sentenza che in nome della Costituzione affermi un modello di amministratore pubblico che aveva il dovere di prevedere la valanga e di evitare la tragedia. Se diremo che non si poteva prevedere, che nessuno è colpevole, se diremo che al nostro agente modello amministratore non si poteva chiedere di prevedere, che non c’era nulla da fare, ci saremo forse assolti un pò tutti ma resteremo per sempre coinvolti in questa tragedia». Sullo sfondo la perizia disposta dal gup, secondo la quale «non vi è alcuna certezza in merito alla quantificazione del contributo del sisma sul processo di innesco della valanga, ma allo stesso tempo non si può escluderne l’effetto».
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