Mafia
6:10 pm, 24 Gennaio 23 calendario
9 minuti di lettura lettura

Mafia, blitz nel clan che protesse Provenzano e Messina Denaro

Di: Redazione Metronews
Blitz clan che protesse Provenzano Messina Denaro
condividi

Blitz dei carabinieri a Palermo. I militari hanno arrestato sette persone del mandamento di Pagliarelli. Nel clan era attiva la rete che protesse Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro durante la loro latitanza e negli spostamenti verso le cliniche private a causa del loro stato di malattia.

Mafia, blitz nel clan che protesse Provenzano e Messina Denaro

Alle prime ore dell’alba, a Palermo, Riesi (Caltanissetta) e Rimini, i militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 7 provvedimenti cautelari (5 in carcere e 2 degli arresti domiciliari), emessi dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, consumate e tentate, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

La protezione ai boss

L’indagine conferma l’importanza delle figure figure di vertice del mandamento, già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta in Francia del capomafia deceduto Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’allora capomafia trapanese latitante Matteo Messina Denaro.

Gli uomini d’onore “riservati”

Gli investigatori dell’Arma hanno scoperto l’esistenza di uomini d’onore «riservati», rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie, «i quali godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità».

Il summit e lo “statuto” di Cosa Nostra

Grazie alle intercettazioni e ai pedinamenti, i carabinieri hanno anche «ascoltato» una riunione della famiglia tenutasi nelle campagne di Caltanissetta. Nel corso del summit gli indagati hanno fatto più volte fatto riferimento allo «statuto» delle regole di cosa nostra, un vero e proprio “codice”: «Un costante richiamo degli al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di cosa nostra».

Gli inquirenti ritengono molto interessante, dunque, quanto emerso dalla riunione della famiglia mafiosa di Palermo – Rocca Mezzomonreale al completo, tenutasi per estrema prudenza in una casa nelle campagne della provincia di Caltanissetta. In quel contesto gli investigatori hanno registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che – compendiati in un vero e proprio «statuto» scritto dai «padri costituenti» – sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di Cosa nostra.

Nell’ambito della conversazione captata, definita dallo stesso gip. «di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria», si è più volte fatto esplicito richiamo all’esistenza del «codice mafioso scritto», custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana.

I carabinieri hanno anche sventato un omicidio nei confronti di un architetto e numerose estorsioni e richieste di pizzo, una delle quali effettuata mediante una bambola con un proiettile in fronte.

Nelle intercettazioni le critiche feroci a Riina

«Io mi faccio il conto che eravamo i padroni del mondo perché tu andavi da una parte e trovavi il portone aperto».
«No, tutte cose sono finite. Quando una persona ha il delirio di onnipotenza… Nella vita per far funzionare qualsiasi cosa ci vuole equilibrio. Tiri la corda e la rompi… Perché si è mangiato tutto e ha portato alla distruzione. Ti dico una cosa, sarebbero cambiati lo stesso i tempi, ma però non saremmo combinati in questa maniera… non con tutti questi pentiti».
«Perché tu pensi che se lui non si fosse comportato così, ci sarebbero stati tutti questi pentiti?».

Ragionavano così Antonino Anello e Gioacchino Badagliacca, tra gli arrestati nell’ambito del blitz antimafia che ha colpito in particolare la famiglia di Rocca Mezzomonreale. Non sapendo di essere intercettati discutevano sui motivi che, a loro dire, avevano portato al progressivo indebolimento di Cosa nostra.

Il dito è puntato, spiega il gip Lirio Conti nell’ordinanza di custodia cautelare, contro «la feroce gestione» dell’associazione da parte dell’allora capo indiscusso Totò Riina, che aveva portato all’esecuzione di omicidi eccellenti di appartenenti alle forze dell’ordine e di persone estranee a Cosa nostra nell’ambito del suo progetto stragista.

«Quando tu metti mano con gli sbirri ma che senti fare (che vuoi fare, ndr)?», diceva Gioacchino Badagliacca, che aggiungeva: «Ma poi non è nel dna di questa cosa. Le bombe là fuori, fare morire gente innocente… Queste cose onesto sono? Cose di un cristiano che ha onore? Ma perché se muori tu, muore tua figlia a te ti piacerebbe? Che è innocente».

Il riconoscimento dei boss verso la statura mafiosa del pentito Buscetta

I due interlocutori, annota il gip nell’ordinanza, interloquivano anche della statura mafiosa di Tommaso Buscetta, il mafioso pentito che con le sue dichiarazioni rese possibile l’istituzione del primo maxi processo contro Cosa Nostra, grazie al rapporto di stima e fiducia tra il collaboratore di Giustizia e Giovanni Falcone: «Tuo nonno mi dice che Tommaso Buscetta era un cristiano con sette paia di cog…», tagliava corto Anello.

Gli arresti

Le persone arrestate nel corso del blitz sono: Pietro Badagliacca, 79 anni; Gioacchino Badagliacca, 46 anni; Angelo Badagliacca, 51 anni; Antonino Anello, 83 anni; Pasquale Saitta, dell’operazione, 68 anni; Michele Saitta, 71 anni; Marco Zappulla, 35 anni.

 

 

 

 

24 Gennaio 2023
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo