fusione nucleare
4:21 pm, 13 Dicembre 22 calendario

Fusione nucleare: “Svolta storica per energia pulita”

Di: Redazione Metronews
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I ricercatori americani hanno confermato e dunque annunciato una «svolta storica» nella fusione nucleare controllata che permetta la produzione di energia pulita e meno costosa. «Si tratta di una pietra miliare scientifica», ha detto la segretaria all’Energia Usa, Jennifer M. Granholm. «E’ solo l’inizio», ha aggiunto in conferenza stampa.

L’esperimento è stato condotto nel Federal Lawrence Livermore National Laboratory, in California.

Lo faremo perché è difficile
L’editoriale di Stefano Pacifici

Il laboratorio Usa

Fusione nucleare con guadagno netto di energia

Il Dipartimento Usa dell’Energia ha dunque comunicato il successo di un esperimento di fusione nucleare che per la prima volta ha portato a un net energy gain (guadagno netto di energia). Insomma nel processo è stata prodotta più energia di quella utilizzata per attivarlo, una svolta che può sconvolgere le prospettive globali nel settore energetico aprendo la porta alla generazione di elettricità in enormi quantità in modo sostenibile e sicuro.

In un tweet il Dipartimento ha spiegato come “questo è un annuncio che ha richiesto decenni” di lavoro.

Il 5 dicembre 2022 – continua il tweet – un team del Lawrence Livermore National Laboratory è entrato nella storia ottenendo l’accensione della fusione. Questa svolta cambierà per sempre il futuro dell’energia pulita e della difesa nazionale americana”. Dal suo canto il Segretario Usa all’Energia Jennifer Granholm ha parlato di “una svolta rivoluzionaria, che migliora il mondo e salva vite che si svolge sotto i nostri occhi”, una “incredibile impresa” per la quale ha espresso “le più sentite congratulazioni e la gratitudine ai ricercatori e allo staff” del laboratorio californiano.

In un video sul profilo social, il laboratorio ricorda come quella della fusione nucleare sia “una delle sfide scientifiche più impegnative” e come il risultato raggiunto sia il frutto di un lavoro iniziato addirittura negli anni Sessanta: “La fusione apre possibilità senza precedenti ed evidenzia la leadership scientifica degli Usa, oltre a permetterci di fare passi in avanti verso l’energia pulita”, conclude il Lawrence Livermore National Laboratory. In una nota sul sito del laboratorio si ricorda come “questa impresa unica nel suo genere fornirà preziose informazioni sulle prospettive di energia da fusione pulita, rappresentando un punto di svolta per gli sforzi per raggiungere l’obiettivo del presidente Biden di una economia a zero emissioni di carbonio”. La Granholm ricorda come “l’amministrazione Biden-Harris è impegnata a sostenere i nostri scienziati di livello mondiale – come il team del NIF – il cui lavoro ci aiuterà a risolvere i problemi più complessi e urgenti dell’umanità, come fornire energia pulita per combattere il cambiamento climatico e mantenere un deterrente nucleare senza test’’.

L’esperimento

All’una di notte del 5 dicembre, i ricercatori del National Ignition Facility in California, concentrando 2,05 megajoule di luce laser su una minuscola capsula di combustibile per fusione hanno innescato un’esplosione che ha prodotto 3,15 MJ di energia, l’equivalente di circa tre candelotti di dinamite.

Si tratta di un passo in avanti importante perchè fino ad oggi, gli esperimenti non erano mai andati in positivo (net gain). Un risultato che non sorprende perchè andando indietro nel tempo e scorrendo i risultati ottenuti in passato, il livello di energia ottenuto durante un processo di reazione di fusione controllata è stato sempre in crescita. I dati di oggi sarebbero in linea con l’evoluzione delle tecnologie e ci avvicinano a una nuova fase dello sviluppo di un ipotetico reattore. «Il guadagno è quasi 1.5, che – ha spiegato Stefano Atzeni, fisico della Sapienza che ha lavorato anche con alcuni dei gruppi coinvolti negli esperimenti di Livermore – è poco per un reattore. C’è bisogno di 50 o 100, ma è 30 volte quello che si otteneva 2 anni fa e più del doppio del miglior esperimento precedente. Quello che conta veramente è che si è dimostrato che il plasma ignisce, cioè si autoriscalda. Una volta accese le reazioni, il calore delle reazioni riscalda ulteriormente il plasma. Ovvero, il plasma che inizia a reagire funziona da cerino che accende il resto del plasma. Questo è un risultato storico; guadagno 1 o 2 significa relativamente poco».

La ricerca

La corsa alla fusione nucleare investe tutti i grandi paesi sviluppati, incluse le grandi potenze asiatica, Cina e Giappone. La maggior parte dei paesi partecipa al Consorzio per l’International Thermonuclear Experimental Reactor, ITER che raccoglie a vario titolo Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India, Corea del Sud.

L’Italia è coinvolta principalmente nella progettazione e costruzione del sistema di sospensione magnetica, tramite il Consorzio RFX (Padova) del sistema di riscaldamento tramite iniettore di neutri per fusione e del condotto di scarico dell’elio. Circa il 60% dei contratti industriali per la costruzione di ITER sono stati aggiudicati da aziende italiane. ITER è un grande reattore nucleare in fase di costruzione nel Sud della Francia, a Cadarache, nei pressi di Aix en Provence, che impiega tecnologia a confinamento magnetico.
Sempre sulla tecnologia a confinamento magnetico sono attivi negli Stati Uniti, i ricercatori del MIT Plasma Science & Fusion Center che, in collaborazione con Commonwealth Fusion Systems (spin-out del Massachusetts Institute of Technology finalizzato a velocizzare l’applicazione industriale della fusione a confinamento magnetico) e con Eni, sta sviluppando il progetto concettuale per SPARC, un reattore di fusione più compatto, che grazie all’impego di magneti superconduttori dovrebbe riuscire a produrre una potenza tra i 50 e i 100 Megawatt con un guadagno energetico superiore a 10. Anche i cinesi puntano su questa tecnologia e proprio a gennaio di quest’anno uno dei suoi impianti sperimentali, l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST), è riuscito a rimanere accesso per più di 17 minuti con una temperatura del plasma di 70milioni di gradi.

Oltre al confinamento magnetico il governo cinese sta provando a raggiungere l’obiettivo con altre tecnologie inclusa quella del contenimento inerziale a laser, e anche formule più sperimentali come quelle della Centrale a impulsi elettrici di Chengdu, nella provincia del Sichuan. Si tratta di un impianto ibrido che combina le tecnologie della fusione e di quelle della fissione nucleare e che dovrebbe essere in funzione già a partire dal 2028. «Fra i più attivi e dinamici sul profilo della ricerca e dello sviluppo di nuove soluzioni – spiega Stefano Atzeni – sono forse gli inglesi che oltre a collaborare fattivamente nel consorzio ITER, si stanno muovendo anche su altre tecnologie, anche grazie a un buon livello di collaborazione tra università e privati».

Proprio dal Regno Unito arriva una proposta per un reattore a fusione particolarmente innovativo sviluppato dalla First Light Fusion (spin off dell’Università di Oxford) che ha nel suo adivsory boards fisici di alto livello. Uno su tutti: Steven Chu, Premio Nobel per la fisica ed ex ministro dell’energia con il Presidente USA Barak Obama. Si tratta di un reattore che punta ad ottenere la fusione nucleare sfruttando la compressione prodotta da un proiettile lanciato verso il bersaglio (il combustibile).

L’obiettivo

Il punto cruciale da risolvere è come passare da questi esperimenti, alla realizzazione di macchine che possano produrre energia a fini industriali. Per produrre energia in maniera continua occorre avere a disposizione non solo una fonte di energia, ma anche un complesso sistema che riesca a trasformare questa energia (calore o energia cinetica nel caso delle centrali idroelettriche ed eoliche) in energia elettrica.

Si tratta cioè di estrarre l’energia prodotta dalla reazione (combustione, fissione o fusione) e di convertirla in elettricità. Nelle centrali convenzionali, ma anche in quelle nucleari questo processo avviene attraverso un sistema di scambiatori di calore che sfruttano le caratteristiche del vapore acqueo per azionare i generatori, di solito turbine.

Nel caso della fusione nucleare le due tecnologie impiegate hanno implicazioni diverse non solo nel processo di generazione dell’energia, ma anche, nella ingegneria complessiva del sistema che poi è destinato a produrre elettricità. Per fare una analogia, il sistema europeo è più simile a un motore a vapore, come quello delle locomotive, in cui la fiamma si sviluppa all’interno della camera di combustione e brucia in maniera continua. La sfida di Iter è quella di riuscire a mantenere una reazione di fusione accesa e controllabile, che produca più energia di quella necessaria al suo confinamento con campi magnetici. L’approccio americano è diverso ed è, usando la stessa analogia, più simile a un motore a scoppio, per la precisione un motore diesel, in cui l’innesco del combustibile avviene per compressione del combustibile (in questo caso i laser convergenti). La reazione avviene all’interno di una sfera che potremmo paragonare al cilindro di un motore a scoppio. Quello che è stato ottenuto è solo un primo scoppio di questo motore, ora c’è da pensare a costruire il resto del sistema, il sistema e la sfida non è da poco. Il primo problema è quello dello scoppio innescato con i laser. Per avere un sistema efficace serve arrivare a migliaia di spari al giorno. «Con questa tecnologia – spiega Atzeni – è possibile pensare di ottenere solo qualche sparo al giorno. I laser impiegati sono molto potenti e non possono essere utilizzati con una frequenza molto alta. Per farlo serve migliorare e di molto questa tecnologia, che esiste già per i laser a bassa potenza, ma va implementata per quelli ad altissima potenza che sono quelli necessari per la fusione». Poi, aggiunge Atzeni «serve riuscire ad ottenere laser più efficienti sotto il profilo energetico con una rendimento migliore». La speranza è che con ulteriori investimenti questo gap, almeno nel campo dei laser possa essere superato Il secondo ostacolo da superare è quello del caricamento, o meglio, per tornare alla metafora del motore a scoppio, dell’alimentazione. «Attualmente – dice Atzeni – le singole capsule di combustibile (sono di mezzo millimetro di diametro) sono prodotte attraverso sistemi sofisticatissimi e sono perfino rifinite a mano con il microscopio. I costi e i tempi di produzione sono molto alti. Inoltre per poter essere posizionate correttamente (devono essere colpite simultaneamente da 196 raggi laser) viene utilizzato un robot che ha un margine di errore di pochi micron. Pensare di ripetere questo processo per un ciclo di scoppi più elevato è davvero complicato. Nulla di insuperabile, ma certo nemmeno così alla portata».

13 Dicembre 2022 ( modificato il 18 Dicembre 2022 | 13:42 )
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