Salario minimo
6:34 pm, 7 Giugno 22 calendario

Salario minimo, non è un obbligo ma l’Europa ora spinge e l’Italia litiga

Di: Redazione Metronews
condividi

Premessa: non è vincolante e nemmeno impone un salario minimo uguale per tutta Europa. La bozza della direttiva Ue sul salario minimo sulla quale Consiglio e Parlamento hanno raggiunto un accordo nella notte a Strasburgo, non prevede l’obbligo di introdurre un salario minimo in tutti i Paesi dell’Unione. Entro fine mese arriverà l’ok del Parlamento e del Consiglio Ue, poi toccherà agli Stati membri che hanno due anni di tempo, per adottare eventualmente la direttiva.

Schmidt: «Nessuno l’impone all’Italia»

«C’è un ampio dibattito in Italia su come rafforzare la  contrattazione collettiva e se non sia il momento di introdurre salario minimo. Non imporre un salario minimo all’Italia, non questo è il tema». Lo ha dichiarato il commissario europeo al Lavoro, Nicolas Schmit, in conferenza stampa dopo l’accordo Ue. «Questo è un contributo al dibattito e sono fiducioso che i partner sociali italiani arriveranno a un buon accordo per rafforzare la contrattazione collettiva, in particolare per quelli non molto protetti, ed eventualmente giungere alla conclusione che potrebbe essere importante introdurre un sistema di salario minimo in Italia. Ma questo spetta al Governo italiano e alle parti sociali italiane».

Stabilite le procedure sui salari minimi

La direttiva, spiega il Consiglio, si limita a stabilire procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi laddove esistono, a promuovere la contrattazione collettiva per stabilire i salari e ad aumentare l’accesso effettivo alla tutela del salario minimo per i lavoratori che vi hanno diritto in base al diritto nazionale.
Gli Stati membri dell’Ue che hanno salari minimi in vigore, non l’Italia, dovranno stabilire un quadro procedurale per fissare e aggiornare i salari minimi secondo una serie di criteri. Consiglio e Parlamento hanno concordato che gli aggiornamenti del salario minimo debbono avere luogo almeno una volta ogni due anni, o al massimo ogni quattro anni per i Paesi che utilizzano un meccanismo di indicizzazione automatico. Le parti sociali devono essere coinvolte nelle procedure per fissare e aggiornare i salari minimi.

La direttiva mira poi a promuovere la contrattazione collettiva come mezzo di difesa dei salari: i colegislatori hanno deciso di promuovere la capacità delle parti sociali di impegnarsi nella contrattazione collettiva, tutelando i rappresentanti dei lavoratori. E’ previsto in particolare che, nei Paesi in cui la contrattazione collettiva copre meno dell’80% del mercato del lavoro, gli Stati membri preparino dei piani operativi per promuoverla, con tempistiche e misure atte ad aumentare la copertura dei contratti collettivi. Consiglio e Parlamento hanno infine concordato misure volte a migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela del salario minimo: controlli da parte degli Ispettorati del lavoro, informazioni accessibili sul salario minimo, sviluppare le capacità delle autorità di perseguire i datori di lavoro che non rispettano le norme.

Sei i paesi senza salario minimo

Oltre all’Italia il salario minimo non è stato istituito anche in Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia. Dove invece è già previsto, stando agli ultimi dati Eurostat, viaggia tra i 332 euro mensili della Bulgaria e i 2.257 euro del Lussemburgo. In Germania è pari a 1.621 euro. In Italia il fronte politico si è già diviso tra coloro che difendono la tradizione della contrattazione collettiva che nel nostro Paese assicura retribuzioni ben al di sopra dei minimi salariali fin qui ipotizzati (9 euro all’ora) e chi invece ritiene che il salario minimo potrebbe tutelare meglio quei tre milioni e mezzo, secondo l’Inps, di lavoratori italiani che lavorano per un salario orario sotto i 9 euro l’ora,  il 25% degli occupati. La terza via è spingere sulla contrattazione più garantita anche per le piccole realtà dove spesso si assiste alla distorsione dei contratti pirata, stipulati da microsigle sindacali create ad hoc. Per questo i sindacati spingono anche sul tasto della rappresentatività effettiva delle sigle sindacali chiamate a sottoscrivere gli accordi.

Chi è pro e chi è contro

Gli schieramenti vedono da un lato i favorevoli al salario minimo  Pd, M5s, Leu, Cgil, Uil, uniti dalla battaglia contro il cosiddetto lavoro povero. Dall’altro i contrari sono Forza Italia,  Confindustria, Fratelli d’Italia che puntano sul taglio del cuneo fiscale e la Cisl che insiste sulla contrattazione. Anche all’interno del Governo i ministri si collocano su fronti diversi, con  il ministro del lavoro Orlando a favore e quello dello sviluppo economico Giorgetti contrario.

Le proposte in campo sul salario minimo

Se l’Italia dovesse decidere di aderire alla direttiva in Parlamento ci sono già diverse proposte di legge sul salario minimo.  Una proposta (Laus e altri) che prevede l’istituzione di un salario minimo orario non inferiore ai 9 euro, un’altra (Pastorino) , che  prevede un salario minimo orario, sostituito dalle previsioni dei contratti collettivi se di importo maggiore, pari al 50% del salario medio. La proposta presentata dal M5s (Catalfo e altri) nel 2018 che prevede un salario minimo orario non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazione comparativamente più rappresentative, e comunque non inferiore a 9 euro, e un’altra presentata dall’ex ministro del lavoro Graziano Delrio che affida a un decreto ministeriale annuale, su parere di una commissione di esperti, la fissazione del minimo orario legale. Un’altra proposta  ( Rizzetto) affida a una Commissione di esperti la determinazione del salario orario minimo legale, da aggiornare triennalmente, mentre  la proposta Nannicini rinvia ai contratti collettivi la fissazione del salario minimo.

 

7 Giugno 2022
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo