Teatro Milano
11:53 am, 11 Ottobre 21 calendario

Frongia: «L’Elfo Puccini riparte da dove si era interrotto»

Di: Patrizia Pertuso
condividi

TEATRO L’Elfo Puccini riapre i battenti con uno spettacolo che, come dichiara il regista Francesco Frongia, «più che un semplice parto, è stato il parto di un elefante». Già perché Diplomazia, firmato dalla regia anche di Elio De Capitani, ha avito una gestazione piuttosto lunga: allestito nel marzo 2020, è stato rinviato ed è andato in scena nell’ottobre dello stesso anno, ma dopo nove repliche è stato sospeso.

In questa nuova stagione riprende il suo viaggio da Milano (14 ottobre/14 novembre) per approdare poi sui palcoscenici dei teatri che lo co-producono e sostengono, Teatro Stabile di Catania (9/28 novembre) e il Lac di Lugano (3/4 dicembre).

Ad illustrare la messinscena è Francesco Frongia.

Come mai avete deciso di far ripartire la stagione proprio con questo spettacolo?
«Come teatro – spiega il regista – abbiamo sempre continuato a  mantenere fede agli impegni presi con le compagnie anche durante le chiusure. Ripartire da Diplomazia significa riprendere da dove eravamo rimasti. Si tratta di uno spettacolo importante e ci auguriamo che adesso, con la capienza dei teatri tornata al 100%, possa offrire l’impatto per il quale è stato costruito».

Di spettacoli “importanti” l’Elfo Puccini e ha messi in scena diversi, m riferisco al filone sociale di cui fa parte per esempio Afghanistan. Cosa c’è di importante in Diplomazia?
«Si inserisce proprio nel filone di spettacoli a cui lei fa riferimento, una scelta precisa del nostro teatro. Rientrano in una categoria particolare nella quale accanto all’aspetto di intrattenimento nobile dello spettacolo teatrale c’è anche un valore educativo ben preciso».

Diplomazia racconta la liberazione da nazisti
«Sì, e forzando un po’ la mano, quella liberazione potrebbe essere accostata alla pandemia. Il nazismo è stato un virus per l’idea di democrazia, un virus che ha convinto molta gente. E la società ha reagito trovando dentro di sé strumenti per combatterlo».

In questa stagione 2021/2022 potrebbe individuare tre spettacoli “di punta”?
«Il primo è Moby Dick alla prova, con la regia di Elio De Capitani che interpreta Akab e che ha lavorato sul testo di Orson Welles con un cast di dodici persone in scena: si indaga la follia dell’uomo solo al comando ed è veramente interessante».

E il secondo?
«Uno spettacolo che ha diretto Ferdinando Bruni insieme a me, Edipo. Una favola nera, con i costumi di Antonio Marras e le maschere di Elena Rossi».

Edipo una favola nera?
«Abbiamo mantenuto la struttura di Sofocle innestando su questa piccole parti senza attingere in alcun modo alla sfera psicoanalitica che appartiene al protagonista. Il nostro è stato un approccio più antropologico perché abbiamo lavorato sull’uomo Edipo: è un bambino che viene abbandonato dai genitori, ritrovato ed accudito da una famiglia di pastori finché non arriva dalla regina. Ma quella regina è sua madre. Ed è da qui che parte la favola nera attorno a quattro personaggi: Edipo interpretato da Valentino Mannias, Giocasta è Mauro Lamantia, Ferdinando Bruni veste i panni di Tiresia e Edoardo Barbone sarà Manto, la figlia di Tiresia. Tutti, tranne Edipo, daranno voce al Coro e tutti, sempre tranne Edipo indosseranno delle maschere».

Perché questa scelta?
«Perché Edipo è l’unico che è se stesso; non ha bisogno di maschere, è libero  non cambia mai».

Ormai il connubio tra il teatro e il mondo della moda di Antonio Marras è cosa fatta…
«I suoi costumi sono vere e proprie installazioni realizzate da quintali di tessuti. Questa stratificazione ricrea la storia che ci portiamo dietro e proietta immediatamente la presenza dell’attore-personaggio in una sfera di immagini altamente simboliche».

Ha a disposizione ancora una “menzione” per il terzo spettacolo di questa nuova stagione. A chi la dedica?
«A Robert e Patti di Emanuele Aldrovandi: ambientato nella New York di oggi, racconta il mondo della musica e del rock. Robert è Riccardo Buffonini – che interpreta anche un altro ruolo: quello del proprietario dell’appartamento dove vive Patti e che all’inizio dello spettacolo entra in casa per sfrattarla -, mentre Patti è Ida Marinelli».

Chiariamo subito che Robert non è Robert Mapplethorpe e che Patti non è Patti Smith, giusto?
«Sì, Robert è un personaggio che vive in quello stesso ambito di  Mapplethorpe, nel mondo rock punk newyorchese ma non è il fotografo statunitense. E Patti è Patti Johnson. Il fulcro dello spettacolo ruota intorno alla dicotomia che si crea tra la fama e l’essere artista. Patti per essere famosa è costretta dal suo agente a cantare le canzoni di altri: è un’artista destinata alle cover e quindi con poca fama».

Una sorta di doppio di Patti Smith?
«Esattamente: la nostra Patti rappresenta l’arte, Patti Smith è anche la fama. La vita della nostra Patti è segnata da suoi ricordi, dalla sua storia d’amore con Robert che è morto, ma che lei riesce a vedere come un fantasma. Tutto ciò la tiene ancorata al suo passato. Ed è estremamente difficile liberarsi dei grandi amori come anche dei grandi dolori».

https://www.elfo.org/in-scena/stagione-2021-2022.htm?gclid=Cj0KCQjwwY-LBhD6ARIsACvT72P9BMJzdrmwkwEx5sJpsfsvTzxTeqNO6-t27oRwLeDJCvMt9SqcmOMaAhXFEALw_wcB

PATRIZIA PERTUSO

 

 

 

11 Ottobre 2021
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo