Milano
4:59 pm, 8 Aprile 21 calendario

Bloccati in casa dal Covid 20 storie di anziani

Di: Redazione Metronews
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Le sorelle Franca e Maria, 91 e 88 anni, per tutta la vita hanno lavorato nel piccolo negozio di componenti elettrici ereditato dal papà. Maria se n’è andata lo scorso 27 febbraio dopo essere stata immortalata in uno dei venti ritratti di  anziani e persone fragili residenti  nelle case popolari del Comune nel Municipio 1 di Milano, per il progetto “Io c’entro” realizzato da Fondazione Somaschi Onlus che collabora con il Comune di Milano con 160 custodi sociali che si occupano di aiutare le persone fragili nelle normali incombenze, un lavoro aumentato dopo che gli anziani sono stati costretti a chiudersi in casa per la pandemia, come gli scatti di Luca Meola raccontano con tenerezza,  assieme alle testimonianze dei protagonisti. Come Tatiana, 80 anni: «Il Coronavirus l’ho vissuto malissimo, mi ha rovinato. Da marzo a giugno non sono uscita e le gambe sono andate “a ramengo”. Ora non mi reggono più. Prima eravamo in giro tutto il giorno: i custodi organizzavano delle cose il martedì, il mercoledì, il giovedì; adesso al di fuori dei custodi non ho più nessuno, al di fuori della mia vicina non vedo nessuno. Questa seconda ondata di Covid per me è stata peggiore: sono sempre più triste e demoralizzata. La mia famiglia per fortuna mi è molto vicina, li vedo spesso e li sento sempre anche al telefono». O Emma e Luciano, 81 e 86 anni, che raccontabno di come 50 anni fa si siano innamorati ballando il liscio. Giovanni e Antonietta, insieme da 45 anni, non escono più di casa per proteggere loro figlio Teodoros, disabile molto fragile, che per motivi di salute non può indossare la mascherina. C’è Giuseppe detto Napoleone che ha gestito bische tutta la vita, è stato anche in galera ma dopo aver avuto un infarto si è messo a riposo ed è chiuso in casa, dice che del Coronavirus non capisce nulla.  O Mimmo che da un anno non può più andare a trovare la moglie ricoverata in una Rsa per Alzheimer, che non lo riconosce più ma a lui manca tanto. Tante storie nelle quali si racconta anche il ruolo dei custodi sociali: «Di norma riceviamo circa 100 telefonate al giorno – dice Elena Varini, che coordina l’equipe di Fondazione Somaschi – per diverse richieste di aiuto o più semplicemente per dare conforto e rassicurazioni. Prima della pandemia organizzavamo attività e laboratori di quartiere, per favorire la socializzazione e sviluppare reti di mutuo aiuto. Ora che gli incontri in presenza sono sospesi ci siamo riorganizzati creando occasioni diverse per mantenere in rete i cittadini e far sì che si prendano il più possibile cura di loro stessi e dei loro vicini. Così abbiamo digitalizzato ultraottantenni, messo in circolo piantine ed erbe aromatiche da curare, giornali e cruciverba, mascherine cucite per proteggere gli altri, poesie e ricette da commentare cucinare insieme a distanza. Perché la solitudine è uno dei problemi più gravi per le persone che assistiamo».
 
 
 

8 Aprile 2021
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