La legge elettorale fa tremare il referendum
“Senza l’approvazione di una legge elettorale proporzionale che garantisca rappresentanza e pluralismo politici, sociali e territoriali, penso sia un dovere votare NO al #Referendum sul taglio dei parlamentari. Toglie voce a cittadini, fasce sociali e territori, altro che poltrone”. E’ un tweet del senatore del Pd Francesco Verducci a dare l’idea precisa, oggi, della temperatura della maggioranza su un tema dirimente, e che lo diventerà sempre di più nelle prossime settimane: la riforma della legge elettorale. Il 20 e 21 settembre si voterà il referendum sul taglio dei parlamentari e senza una nuova legge elettorale ne potrebbe derivare una pasticciata rappresentanza del Paese.
“Non prioritaria”. Cresce anche il fronte di chi sostiene che parlare di legge elettorale oggi non sia prioritario. In tal senso si è schierato anche Salvini: “La legge elettorale non è la nostra priorità. La legge elettorale che preferiamo è il maggioritario perchè gli italiani, come per le regionali e le comunali, la sera del voto sanno chi è il governatore e il sindaco. Proporzionale significa ammucchiate, partitini, partitelli. Chi vuole bene all’Italia sceglie il maggioritario”. Getta acqua sul fuoco il segretario di Più Europa, Benedetto della Vedova, che alza il tono: “Sul referendum, finalmente è chiaro a tutti, si gioca una partita di macelleria costituzionale i cui eventuali vincitori saranno i populisti del M5S, della Lega e di Fratelli d’Italia, gli amici di Maduro, Putin e Orban”. “Una nuova legge elettorale (modificabile poi a maggioranza semplice) sarebbe solo una foglia di fico. Tutti, anche il PD, dobbiamo scegliere. Io sto con la democrazia e la Costituzione. Io voto NO”, conclude. Delrio replica a chi vuole prendere tempo, come Calderoli, che propone di riparlarne dopo il referendum: “Lavoriamo sulla legge elettorale – ribadisce Delrio – Partiamo dall’accordo sottoscritto tra le forze di maggioranza e poi il Parlamento deciderà liberamente”
Rischio “riformetta”. Quello che c’è in ballo viene spiegato chiaramente dal costituzionalista Francesco Clementi, in un’intervista al Dubbio: innanzitutto segnala che il ventilato risparmio per le casse dello Stato, sarebbe, in realtà, “solo dello 0,0007 della spesa pubblica, secondo Cottarelli” e avverte che l’appuntamento referendario di settembre “significa toccare la democrazia, perchè fino al 1963 non era previsto il numero di parlamentari in Costituzione”. E si darebbe il via definitivo a una riforma che “si espone a forti critiche” se non accompagnata da quella dei regolamenti parlamentari, da una nuova legge elettorale e da una riforma dell’articolo 57 della Costituzione, senza la quale si finirebbe tra l’altro per “privilegiare le aree più popolate rispetto a quelle interne, incentivando anche l’astensionismo”. Insomma: andiamoci con i piedi di piombo.
Clementi osserva da un lato che “se vince il no rischiamo di non avere più alcuna riforma” mentre “se vince il sì la politica è costretta a fare importanti riforme costituzionali ma – avverte – non è detto che riesca a farlo con l’adeguatezza necessaria”. “In entrambi i casi – ragiona il costituzionalista – la legge elettorale dovrà cambiare e nel caso del sì potrebbe arrivare uno scossone utile” su nodi quali la riduzione dell’età per l’eleggibilità a parlamentare o lo stesso articolo 57 della Costituzione quanto al Senato “che non potrà più essere rieletto su base regionale ma circoscrizionale”.
Al di là delle tecnicalità, Clementi rileva che “il grave errore politico è stato immaginare che fosse possibile fare una riforma costituzionale in maniera ‘micro’, senza affrontare la Costituzione come organismo complesso”. Nè rasserena, osserva ancora, la marcia verso l’appuntamento referendario: “Stiamo andando un pò alla carlona, dentro un silenzio ipocrita verso una delle più grandi riforme costituzionali che questo Paese possa fare. I partiti si devono dichiarare con responsabilità, senza lasciare libertà di scelta. Qui non c’è coscienza ma responsabilità. Si tratta – sottolinea – di un voto politico e come tale deve essere pensato”.
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