Cambio alla Costituzione Putin ormai guarda al 2036
Con oltre il 99,9% di schede scrutinate, i sì alla riforma della Costituzione voluta dal presidente Vladimir Putin sfiorano il 78% (77,93% contro il 21,26% dei no), secondo i dati diffusi dalla Commissione elettorale centrale e riportati dalle agenzie di stampa russe. Si tratta di percentuali ben superiori a quelle registrate nei sondaggi svolti alla vigilia della consultazione popolare (in via eccezionale spalmata su sette giorni e conclusasi ieri) e superano le aspettative del Cremlino che, secondo gli analisti, si sarebbe “accontentato” di un’approvazione del possente pacchetto di emendamenti tra il 60 e il 70%. L’affluenza a livello nazionale è stata di quasi il 65%.
Putin. I russi dunque hanno votato per la riforma della Costituzione con cui si consolida il putinismo, il sistema di potere fortemente centralizzato nelle mani del presidente e con alla base un’ideologia ispirata al patriottismo e ai valori conservatori. Il voto, che doveva tenersi lo scorso 22 aprile, è stato posticipato per via della pandemia, ma il Cremlino non poteva aspettare oltre: troppo alto il rischio che in autunno le conseguenze della crisi potessero erodere ulteriormente il consenso di Putin, già in calo per una serie di motivi tra cui anche la gestione della crisi sanitaria. Cuore del pacchetto di emendamenti è l’azzeramento dei mandati presidenziali di Putin, che formalmente risolve – ma solo rimandandolo – il ‘dilemma della successione’, su cui si arrovellava il Paese in vista del 2024, quando il vincolo costituzionale dei due mandati consecutivi non avrebbe più permesso all’ex agente del Kgb di candidarsi al Cremlino. Le altre modifiche ‘politiche’ conferiscono al presidente un maggiore controllo sull’esecutivo, riaffermano la preminenza della legge russa sul diritto internazionale, rendono irreversibile l’annessione della Crimea e trasformano il Consiglio di Stato in un organo costituzionale. Sono mimetizzate da una cornice di emendamenti ‘populisti’ come l’indicizzazione delle pensioni almeno una volta l’anno, il salario minimo al pari o al di sopra del costo della vita, l’introduzione della “fede in Dio” come fondamento dello Stato e la definizione del matrimonio come unione tra uomo e donna. Per incentivare i russi a recarsi a votare, seguendo una pratica di stampo sovietico, il Comune di Mosca ha lanciato un programma di ‘premi’ con due milioni di voucher da regalare agli elettori per l’acquisto di beni e servizi fino alla fine del 2020, spiegandola come un’iniziativa per “stimolare i consumi”. Stessa cosa anche in altre regioni, dove i governatori locali hanno messo in palio auto o sconti al ristorante. Numerose le segnalazioni, come peraltro succede in tutte le consultazioni in Russia, di pressioni sui dipendenti della pubblica amministrazione e delle grandi holding di Stato perchè si esprimessero per il sì.
Navalny. L’oppositore Aleksei Navalny aveva invitato al boicottaggio del voto e diversi osservatori indipendenti hanno denunciato violazioni e brogli, liquidate dal Cremlino come “fake news”. Non sono mancate le proteste, nonostante i divieti di assembramento: circa 300 persone si sono radunate a Mosca in Piazza Pushkin sotto lo slogan “No a Putin eterno”. Altra forma di dissenso, sui social, è stata quella di postare le foto della propria scheda con barrata la casella ‘no’. In mattinata, invece, la polizia aveva fermato sulla Piazza Rossa otto attivisti che avevano disegnato a terra coi propri corpi il numero 2036, il termine ultimo a cui arriverà ora la possibilità di Vladimir Vladimirovich di rimanere al Cremlino.
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