Zone rosse in Lombardia i pm a Palazzo Chigi da Conte
Il pm di Bergamo, Maria Cristina Rota, si è recata a Palazzo Chigi per ascoltare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in merito all’inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa nel Bergamasco. L’audizione a Palazzo Chigi del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sarebbe durata circa tre ore. In seguito anche l’audizione del ministro dell’interno Luciana Lamorgese e quella del ministro della Salute Roberto Speranza. “Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza, dal capo dell’Oms al sindaco del più piccolo Paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. È la bellezza della democrazia. È giusto che sia così. Da parte mia ci sarà sempre massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando”, ha poi scritto su Facebook il ministro della Salute, Speranza.
Conte. In un’intervista a La Stampa, il Capo del governo sul colloquio dice: “Non lo temo affatto, ho agito in scienza e coscienza” e che sempre per lo stesso motivo, tornando indietro, non farebbe la zona rossa. Detto questo, Conte ribadisce: “Abbiamo stanziato circa 120 miliardi in più anni. Ci sono soldi per coprire vari livelli di avanzamento delle opere” e che “ci sarà un momento in cui ci confronteremo sull’eventualità se convenga o meno all’Italia attivare altri strumenti di finanziamento come il Mes”.
L’inchiesta. E’ partita all’inizio di aprile sulla base di ricostruzioni giornalistiche e dell’esposto dell’ex inviato di ‘Striscia la notizia’, Stefano Salvi, l’inchiesta della Procura di Bergamo approdata a Palazzo Chigi per sentire il presidente del Consiglio sulla mancata istituzione della ‘zona rossa’. Epidemia colposa a carico di ignoti: questa la ‘traccia’ iniziale, per ora rimasta invariata, seguita dalla squadra di tre magistrati (un quarto si è sfilato ufficialmente perché deve smaltire le ferie, alcuni parlano di “divergenze) guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota che, subito dopo l’avvio del fascicolo, aveva definito l’iniziativa come “un atto dovuto”. Erano i giorni in cui già la pagina Facebook del comitato ‘Noi denunceremo’ esplodeva di rabbia e dolore coi racconti dei parenti delle persone morte per coronavirus poi confluiti nelle 50 denunce presentate nella stessa Procura nei giorni scorsi. Il filo conduttore, come si legge in uno degli esposti, è quello dell’”inerzia assoluta che ha provocato un incendio di proporzioni devastanti in Valle Seriana” da parte di governo e Regione Lombardia rispetto alla decisione di chiudere Nembro e Alzano, i due comuni dove il virus già imperversava. Come a Codogno e in altri paesi, dove però i confini erano già stati sigillati, mentre la provincia di Bergamo, la più aggredita dal contagio, chiuderà col resto del Paese l’8 marzo. Legato al tema della mancata zona rossa c’è quello della riapertura seguita a una prima chiusura, tutto si consuma il 23 febbraio, dell’ospedale di Alzano, dove già si erano registrati i primi pazienti positivi. Per questo uno dei primi atti dell’indagine sono state le perquisizioni dei Nas nella struttura sanitaria. L’inchiesta si è impennata sulla questione della zona rossa perché i pubblici ministeri hanno convocato l’assessore al Welfare Giulio Gallera e il presidente della Regione Attilio Fontana uno dopo l’altro, come persone informate sui fatti. Entrambi hanno spiegato che la decisione spettava al governo, citando l’invio dell’esercito come prova inequivocabile. “Nessuna pressione da parte di Confindustria per lasciare aperto”, ha assicurato Fontana nella sua audizione del 29 maggio, accompagnata, all’uscita dalla Procura, dai cori ‘assassino, assassino’ da parte di un gruppo di cittadini convinti che la responsabilità sia stata sua. Poche ore dopo, incalzata dai giornalisti, il procuratore Rota si è lasciata andare a una dichiarazioni inconsueta, a microfoni aperti, sullo stato delle indagini: “Spettava al governo chiudere”. Parole che sembravano ‘scagionare’ in anticipo Fontana ma che, a quanto appreso dall’Agi, confidandosi con chi le sta vicino Rota ha detto essere state fraintese perché le conclusioni dell’indagine sono ancora tutte da scrivere. E, per farlo, almeno sul tema della zona rossa, la pm è scesa a Roma per una tre giorni che coinvolge anche il governo.
Audizioni. Dopo l’ascolto di Silvio Brusaferro, il presidente dell’Iss che suggerì all’esecutivo di istituire la zona rossa all’inizio di marzo perché l’indice di contagio in Valle Seriana era già molto alto, è toccato al presidente Conte e ai suoi ministri Roberto Speranza, in quanto responsabile della Sanità, e Luciana Lamorgese, da cui dipendeva l’invio dell’esercito, dare la loro versione. Poi arriverà il momento più delicato per i magistrati, chiamati a decidere se i comportamenti di Regione e governo rientrassero nell’ambito di scelte politiche, per quanto eventualmente sbagliate, oppure nella sfera della giustizia penale. Il reato di epidemia colposa, secondo la giurisprudenza, è molto difficile da dimostrare. Una sentenza del 2017 della Cassazione su un caso di gastroenterite provocata dalla mancata chiusura di un acquedotto ha stabilito che “per sussistere deve prevedere una condotta commissiva e non omissiva”. In sostanza, non basterebbe non avere impedito al virus di diffondersi per immaginare una colpevolezza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA