ELIO GERMANO Berlinale 2020
3:00 pm, 1 Marzo 20 calendario

Germano Orso d’Argento per il suo folle Ligabue

Di: Redazione Metronews
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CINEMA «Quello che resta della nostra umanità sta nelle persone più fragili». La speranza è che parole come queste facciano pensare tutti, almeno per un momento. È ancora: «Questo premio lo voglio dedicare a tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta e ad Antonio Ligabue e alla grande lezione che ci ha dato, che è ancora con noi, che quello che facciamo in vita rimane. Lui diceva sempre “Un giorno faranno un film su di me”. Ed eccoci qui».
A parlare è Elio Germano nel momento in cui viene premiato alla Berlinale appena conclusa, Orso d’Argento come migliore attore  per, recita la motivazione, “il suo straordinario lavoro nel catturare sia la follia esteriore che la vita interiore dell’artista Toni Ligabue”, per essere entrato nei panni e nell’animo del pittore che Giorgio Diritti ha raccontato nel suo “Volevo nascondermi”, in concorso al festival. E parla spostando i riflettori su tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, i riflettori addosso non li hanno mai.
Come capita anche ai genitori e ai figli di famiglie in cui nel buio covano rabbia, sadismo e disperazione raccontate dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo nel loro “Favolacce”, secondo premio italiano, Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura. Mentre non ha potuto avere riflettori il regista premiato con l’Orso d’Oro, per “There Is No Evil”, l’iraniano Mohammad Rasoulof cui  è stato impedito di essere presente a Berlino. Per lui un premio ritirato per interposta persona, le  lacrime dei componenti del cast che dal palco hanno gridato “Mohammad tu non sei solo” e parole forti e chiare, anche se solo in videochiamata: «Nel mio film parlo di tutti coloro che allontanano la responsabilità da se stessi». 
E i dettagli dei produttori: «Il governo non gli ha consentito di venire, Lui ha avuto l’idea per questo film 4 mesi fa, ci siamo messi subito al lavoro, perché non sapeva se sarebbe finito in prigione,  dato che ci era vietato girare. Lo sforzo, l’empatia e il rischio corso dal cast e dallo staff ha dato il risultato che avete visto sullo schermo».  Sintesi perfetta dell’essenza di un festival come quello di Berlino, da sempre sulle barricate dell ‘ impegno sociale e della sperimentazione.
Come dimostrano anche gli altri premi, dall’ Orso d’argento Gran premio della giuria a Never, Rarely, Sometimes Always, pellicola  indie firmata da  Eliza Hittman, storia on the road di una 17enne della Pennsylvania rurale che deve affrontare la tragedia  di un aborto, alla miglior regia a “The woman who run” di Hong Sang Soo,dialogo al femminile pieno di sfumature, all’Orso alla migliore attrice,  Paola Beer protagonista di  “Undine”, che racconta l’amore attraverso il mito e la fiaba, dal premio per il miglior  contributo tecnico  al violento  “Dau Natasha” di Ilya Khrzhanovskiy, una sorta di Truman Show stalinista,  al Gran Premio della Giuria per il  pamphlet contro il cyberbullismo “Delete History”, accompagnato dalle parole di Benoit Delepine: «Nel nostro film sentivamo la necessità di sminuire il delirio di internet mostrandone i limiti. Non siamo felici di avere questo compito, ma qualcuno deve arginare questo delirio».
 
 
SILVIA DI PAOLA

1 Marzo 2020
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