Maurizio Guandalini
5:02 am, 4 Febbraio 20 calendario

Dal virus a Sanremo la messa cantata retorica

Di: Redazione Metronews
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Tra la piccola fiammiferaia e tante scuse. Gli italiani del coronavirus e quelli di Sanremo. Ieri c’è stata la celebrazione del genio italico femminile capace di isolare il batterio asiatico. Grandi festeggiamenti per una delle ricercatrici, precaria, a 1500 euro al mese, e pomposi mea culpa. Siamo anche questo, qualcosa funziona, le donne hanno una marcia in più, applausi, sipario. La baraonda classica.
Nel format che pur proponendo una buona causa è esso stesso una messa cantata retorica di un riscatto momentaneo. Insomma, gli italiani un po’ sfigati e del sesso debole quando vogliono non scherzano. Un fotofinish di primati fine a sé stessa, da piccola fiammiferaia, appunto. Poi,  domani, è un altro giorno e rimarrà tutto com’è, da sempre.
I finanziamenti pizza e fichi, le eccellenze, femminili e maschili, in casa, ignorate, i cervelloni in erba accontentati con medaglietta di carta pesta. Mettendomi nei panni di Francesca Colavita la trentenne scienziata dello Spallanzani, avrei rotto per un attimo la liturgia al di fuori della toponomastica melensa del linguaggio di genere. Genuflesso. Spaccando la asfissiante ipocrisia di cui è dopata l’ufficiale quotidianità, il vero agente patogeno che sfigura e deperisce la dignità professionale.
Non era il momento, forse. Ma è sostanza proprio ciò che si può e non si può dire. Perché lì è in gioco il carattere. La speranza che in futuro qualcosa cambi. Invece siamo pervasi dalle sembianze blobbate dei divieti. Il politically correct integralista che anche nel frivolo festival dei fiori non ha lasciato scampo. Amadeus, si è scusato, inginocchiato per una presunta frase sessista. Sulla donna – la fidanzata di Valentino Rossi – che sta un passo dietro all’uomo. Dibattito. Idiozie. Lezioni di moralità sulla parità dei sessi. Interviste dove il povero conduttore si cospargeva il capo di ceneri per un nonnulla. Che rivela, come per Francesca, la cagionevolezza indigena. Di essere sul pezzo a metà, quando serve, preferendo coprirsi di conformismo di stracci e colla.
MAURIZIO GUANDALINI

4 Febbraio 2020
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