Diritti umani
6:00 am, 31 Maggio 19 calendario

Aminetou Ely, una vita per la libertà delle donne

Di: Redazione Metronews
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Si chiama Aminetou Ely, ed è conosciuta in tutto il mondo per il suo attivismo per i diritti umani in Africa. Mauritana, è stata costretta a sposarsi a soli 13 anni. È stata torturata.  Da allora, dopo essersi ribellata, ha portato avanti la lotta per i diritti ed ha fondato nel suo Paese l'”Associazione delle Donne Capi Famiglia” (AFCF), che combatte contro la schiavitù, le mutilazioni, il matrimonio precoce e le violenze di ogni tipo sulle donne.
La incontro a Roma, al Senato, dove Aminetou, insieme all’astrofisica Francesca Faedi e all’attivista per il diritto alla salute e all’accesso gratuito alla terapia per i malati di AIDS  Cacilda Massango, è tra le finaliste del premio Internazionale “La donna dell’anno”. Giunto alla sua 21esima edizione, il Premio è promosso dal Consiglio Regionale della valle D’Aosta. Questa edizione è dedicata appunto alle donne resilienti, che hanno avuto la capacità di resistere agli urti della vita senza spezzarsi, affrontando sfide coraggiose con coraggio e determinazione.
Aminetou, mi spiega cosa è l’associazione “Donne Capi Famiglia”?
È una associazione di donne che copre tutto il territorio della Mauritania. Combattiamo contro tutte le violenza sulle donne: la mutilazione genitali, il matrimonio precoce, le violenze domestiche e gli stupri. Ed anche contro la tratta delle donne della Mauritania: questa è un altra piaga, che vede le donne portate fino in Arabia Saudita. Combattiamo contro la schiavitù sessuale, che continua di mamma in figlio.
In che senso la schiavitù continua di mamma in figlio?
Si nasce schiave, si partoriscono schiavi. Noi accompagniamo le donne nei processi, le aiutiamo a vivere formandole professionalmente e dando loro anche una istruzione.  E finanziamo dei piccoli progetti per inserirle in ambito lavorativo. Gli ultimi punti del nostro impegno sono  quelli di elaborare delle proposte di legge e la lotta contro l’estremismo religioso, che è nemico della democrazia. Combattiamo per  rendere libere le donne.
Cosa deve avere una persona per essere definita libera?
Innanzitutto la libertà d’espressione. E poi la sua indipendenza economica: questo secondo punto è fondamentale. Per la dignità, per la forza. Dopo di che, la donna deve imporsi e decidere lei stessa: nessuno deve decidere al suo posto.
Dica la verità: in 50 anni, di lotta, da quando cioè è stata costretta a sposarsi a 13 anni, ha visto cambiare qualcosa in Mauritania?
Ho iniziato questa lotta che avevo dieci anni. E se mi guardo indietro, devo dire che la strada percorsa è stata tanta. Oggi ci sono delle leggi che prima non esistevano, c’è il Codice della famiglia, c’è una legge sulla nazionalità, una strategia di genere ed un piano d’azione di genere. Sul tavolo del Governo oggi c’è una proposta di legge contro le violenze e c’è una legge che è stata emanata nel 2015 che ha reso la schiavitù un crimine contro l’umanità.  Le leggi ci sono, ma bisogna applicarle: e gli ostacoli  sono molti. Questo è il problema.
Lei si batte anche per l’accesso delle donne nei luoghi decisionali
Prima le bambine si fermavano alla scuola elementare e non potevano accedere alle borse di studio. Ad oggi, le donne non hanno lo stesso stipendio degli uomini.  
Questo capita anche in Italia
Ma a poco a poco le cose si stanno muovendo. Fino al 2016 non c’erano donne ministre, adesso sono 10. Il 20% dei parlamentari in Mauritania è donna, mentre il 35% degli amministratori nei comuni è donna.
Costretta a  sposarsi a 13 anni. Me la dice una cosa? Dove ha trovato la forza di ribellarsi?
Credo sia stato un dono. Che adesso, però, voglio lasciare alle altre donne.      
ANDREA BERNABEO

31 Maggio 2019
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