Maurizio Zuccari
5:31 am, 7 Marzo 19 calendario

Povero Donald, a quel Nobel credeva…

Di: Redazione Metronews
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Mi si nota di più se non vado o se me ne vado prima? Forse può risolversi con la logica morettiana la fine del vertice d’Hanoi, con la sfumata nera del Nobel per la pace a Trump. Show da rivendere in patria a dispetto dei contenuti, strette di mano e sorrisi da gettare sul piatto al momento della ricandidatura alle presidenziali del prossimo anno. 
Tutto svanito. Eppure Trump al Nobel ci teneva e, sottosotto, ci credeva. Perché allora sobbarcarsi la malafigura di passecchiare col bel Kim, lustro di taglio & parrucco, spacciando urbi et orbi che l’accordo era lì, a un passo. Il mondo che aveva tremato davanti alla Bomba poteva tirare il fiato e, magari, si sarebbe giunti alla firma di quel trattato di pace tra le due Coree che manca dal 1953. E dire che Shinzo Abe, prestatosi con savoir faire nipponico ai desiderata del suo omologo d’oltreoceano, e pure il premier sudcoreano, avevano già imbandito a sushi e sakè. Invece bubbole, abbiamo scherzato, l’accordo è saltato e l’asino è cascato là dov’era la buca: le sanzioni da togliere in cambio dello stop reale al nucleare. 
Magari, logica morettiana a parte, è stata l’invidia a tirare un brutto scherzo a Trump. Quella del Nobel assegnato al predecessore Obama nel 2009, lui che pure non aveva fatto niente e, anzi, s’è guadagnato nel mandato il titolo di miglior bombardiere Usa della storia. O forse il problema è proprio nel Nobel per la pace, già vinto da amatori del genere quali Kissinger e Roosevelt (Theodor, non l’altro, vincitore sui nazi). Persino illustri pacifisti quali Mussolini, Stalin e Hitler hanno ricevuto più d’una nomination al Nobel. Pure Gandhi, ma lui amava prendere il thè col fuhrer: non ne aveva i requisiti, eppoi l’hanno ammazzato prima. Trump, al confronto, non sfigurava certo.
MAURIZIO ZUCCARI

7 Marzo 2019
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