Maurizio Baruffaldi
5:42 am, 17 Gennaio 19 calendario

Storia di donne reputate proprietà dei padri

Di: Redazione Metronews
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La seconda guerra mondiale è finita da qualche anno, in una città del sud Italia una ragazza di undici anni è nel cortile della scuola con i suoi compagni. È quasi donna, accesa, bella. Si accorge che dietro la ringhiera c’è un uomo che tenta invano di nascondersi. Lo guarda con attenzione, riconosce suo padre. La ragazza sa bene dell’intransigenza ottusa e le mani pesanti di quel padre, ma non può resistere e gli si avvicina rossa in volto. – Ma papà, perchè mi controlli? Sono a scuola, cosa vuoi che faccia? – Il padre non risponde, alza la mano e le stampa uno schiaffone sulla guancia davanti a tutti i compagni. La ragazza resta con gli occhi spalancati, tra l’orrore e il pianto, poi corre via. Da quel momento non tornerà mai più a scuola. Per l’umiliazione. 
È una storia che mia figlia, terza liceo, ha sentito per voce di quella stessa donna, ora anziana. Una storia che la donna non aveva mai raccontata, forse per l’onda lunga e inconscia di quell’originaria frustrazione. 
In molte famiglie di quell’Italia, soprattutto al sud, un talebano si sarebbe trovato a casa. Le donne erano reputate proprietà di padri, fratelli, e poi mariti. Vabbè dai, racconti da focolare, sul com’eravamo, adesso è diverso, pensa una sedicenne. 
No. Perché non lontano da qui, in quel mondo che tiene in mano con la sua tavoletta, a circa 70 milioni di donne come lei, minorenni, è vietato andare a scuola. Sono spose bambine, gravidanze precoci, vita di faccende domestiche, sottomesse ai maschi di turno, in famiglie ultra numerose, con figli malnutriti. Sfruttamento sessuale, e infibulazione. Faccio questa ragionamento pedante a mia figlia perché ha cominciato a lamentarsi della scuola, la solita vita. Lo faccio perché è incavolata del fatto che oggi non è uscita perchè aveva troppi compiti, ma ieri sì, e l’altro pure. Lo faccio perché è una donna libera di scegliere il suo futuro. 
Lo faccio perché non deve dimenticare mai il privilegio esclusivo della normalità.
MAURIZIO BARUFFALDI
 

17 Gennaio 2019
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