Teatro d'Opera
6:01 am, 17 Dicembre 18 calendario

Parma, il Festival Verdi «in una fase critica»

Di: Redazione Metronews
condividi

MILANO È molto cresciuto, negli ultimi anni, il Festival Verdi. Ma ora, a cartellone del 2019 già annunciato (con una ripresa di Aida e le nuove produzioni de I due Foscari, Nabucco e Luisa Miller), rischia di doversi ridimensionare bruscamente. Lo dice a Metro, con un certo allarme, Anna Maria Meo, direttore generale del Teatro Regio di Parma. Dal Fus ministeriale (Fondo unico per lo spettacolo) sono arrivati quest’anno 112 mila euro anziché gli attesi 726 mila. Ne è nato un ricorso del Regio al Tar del Lazio, che nell’udienza dello scorso 11 dicembre ha riconosciuto i caratteri di urgenza del caso, fissando la deliberazione decisiva per il prossimo 14 maggio. «Stiamo dialogando con i nostri stakeholder, in primis il Comune di Parma e i privati, e lavorando giorno e notte per colmare il gap e non depotenziare il festival», sottolinea la Meo.
Il Festival Verdi, che si svolge tra settembre e ottobre, tra Parma e Busseto, ha vinto un International Opera Award e un Premio Abbiati per lo Stiffelio dell’edizione del 2017, lo stesso anno in cui ha avuto per legge il riconoscimento di “festival di assoluto prestigio” e un finanziamento di un milione l’anno. La manifestazione, che “pesa” per 6,5 milioni sui 13 che vale il bilancio complessivo del Regio di Parma, quest’anno nelle tabelle ministeriali ha ottenuto, grazie ai risultati conseguiti in termini “produttivi”, qualitativi e di pubblico (oltre trentamila spettatori nell’ultima edizione, comprese le presenze per gli eventi collaterali di Verdi Off) il punteggio più alto tra le manifestazioni consorelle: 72,72 punti contro i 56,86 del Rossini Opera Festival e i 49,63 del festival pucciniano di Torre del Lago. Eppure, i finanziamenti non sono stati conseguenti: al ROF è andato oltre un milione, al pucciniano 651 mila euro.
Anna Maria Meo, è positivo che il Tar deciderà il prossimo 14 maggio? 
«Abbiamo depositato il ricorso il 25 ottobre. Se si arriverà a sentenza dopo sette mesi, il 14 maggio, una data che è frutto della nostra spinta ad un’accelerazione, sarà positivo, considerando i tempi della giustizia italiana».
Ma sarà tardi?
«Speriamo che l’esito sia positivo, ma sì, sarà tardi. Stiamo lavorando giorno e notte per colmare il gap».
Avevate già annunciato l’edizione del 2019…
«Infatti siamo in una condizione di criticità. Stiamo dialogando con gli stakeholder per trovare, in attesa della sentenza, una copertura delle risorse che non abbiamo. altrimenti dovremo depotenziare il festival, che verrebbe azzoppato».
Il vostro ricorso è rivolto contro l’applicazione nei vostri confronti del famigerato limite del 5% all’incremento dei finanziamenti?
«Sì. Ogni teatro può fare per l’attività musicale due domande. Noi per gli anni precedenti facevamo quella per il teatro di tradizione, quindi per la stagione lirica, e una per l’attività concertistica. Ottenuto per legge il riconoscimento di festival di assoluto prestigio, abbiamo, come peraltro successo quando erano stati riconosciuti altri festival, penso al Puccini o al ROF, che sono nel nostro stesso cluster, deciso di rinunciare (si possono scegliere solo due settori) alla domanda di contributo per l’attività concertistica, cambiato settore e fatto domanda per i festival di prestigio».
E qui nasce il problema del “tetto”.
«Il decreto (quello del 2014, successivamente modificato, ndr) diceva che si applica il tetto del 5% a domande che venivano fatte nel medesimo settore degli anni precedenti, e che quindi avevano uno “storico”. Il senso era: se nel settore in cui voi avete fatto sempre attività, voi fate un progetto molto più sfidante e impegnativo, sappiate che noi non riusciamo a valorizzare questo incremento quantitativo e qualitativo di attività oltre il 5%. Ma il punto, nel nostro caso, è che noi non avevamo uno storico, perché il settore di provenienza era quello della concertistica. Quindi la domanda per il settore festival veniva inviata per la prima volta. Avrebbero dovuto valutare la nostra domanda sulla base dei punteggi ottenuti, e che ci aveva riconosciuto la commissione ministeriale. Non sono valori che ci siamo autoattribuiti. L’applicazione del tetto, nel nostro caso, è impropria».
Il vostro è un ricorso su un punto tecnico ben preciso. O va oltre?
«È un ricorso puntuale. Ma dietro la questione tecnica ce n’è una politica. Il ministero si cela dietro l’adozione di tetti (tra cui, oltre a quello del 5%, c’è anche quello secondo cui le risorse non possono essere inferiori al 70% della media degli anni precedenti, ndr), si autogenera una forchetta rigidissima in cui rinuncia a scegliere e a valutare. E fa esattamente l’opposto di quanto si era posto come obbiettivo del nuovo decreto, quello nato con tutte le buone intenzioni di favorire il rinnovamento, che voleva dotare il ministero di uno strumento dinamico per misurare l’offerta culturale».
Il decreto del 2014?
«Sì, quello che scatenò un putiferio (oltre cento ricorsi al Tar, ndr). Ci si nasconde dietro un algoritmo. Per non essere tacciati di arbitrarietà, tutto si irrigidisce dietro una struttura che non è capace di registrare né il calo di qualità né l’incremento della stessa. Il ministero, per tornare al nostro caso, se avesse scelto di non applicare, con una  forzatura, il tetto alla nostra domanda, e avesse irrorato il cluster dei festival di prestigio con le risorse adeguate, redistribuendole poi sulla base dei punteggi che lui stesso ha dato, avrebbe risolto il problema. Ma il ministero ha fatto una scelta totalmente arbitraria nascondendosi dietro al limite del 5%, riconoscendo al festival la qualità più alta ma non finanziandolo conseguentemente».
Voi però avete fatto una programmazione importante senza avere la certezza di poter contare sui finanziamenti cui pensavate di avere diritto.
«Gli esiti del festival, e tenga conto che di noi hanno parlato diffusamente anche il New York Times e il Financial Times, derivano anche dall’aver tenuto fede all’impegno di presentarlo in tempo. Ogni nostro festival viene promosso per 13 mesi, io stessa per l’edizione 2018 ho girato 25 città nel mondo. Noi ques’anno  abbiamo registrato un record storico di incassi (1 milione 366 mila euro, ndr), e due terzi degli spettatori provenienti da fuori Parma anche grazie a questo. Moltissimo dipende dalla tempistica di presentazione dei cartelloni e dall’attività di promozione».
Il sindaco Pizzarotti è con voi. Dice che il festival, tagli o non tagli del Fus, si farà. Il problema è come.
«Il sindaco Pizzarotti è assolutamente con noi. Certo, il problema è “come”. Ci ritroviamo in una condizione di incertezza».
SERGIO RIZZA
Twitter: @sergiorizza

17 Dicembre 2018
© RIPRODUZIONE RISERVATA