Rischia lo sfratto RiMaflow, fabbrica autogestita
Tra gli sponsor hanno anche Papa Bergoglio, che li ha ricevuti due volte. Ma forse non basta: domani l’ufficiale giudiziario potrebbe mettere la parola fine all’esperienza, unica in Italia, della RiMaflow, fabbrica automotive di Trezzano sul Naviglio (allora si chiamava Maflow) chiusa nel 2013, ma tenuta in vita dagli operai riuniti in cooperativa, che nei 30 mila metri quadri, altrimenti destinati all’abbandono hanno creato lavoro e una speranza per il futuro, il sogno di una fabbrica che non muore ma si ricicla. In 4 capannoni negli anni si sono alternate attività diverse: dai laboratori artigiani, alla mensa, alla riparazione di computer e cellulare, al coworking, al rimessaggio camper. Oggi ci lavorano 120 persone, fra ex dipendenti Maflow, artigiani e disoccupati che si sono aggiunti ai 20 soci iniziali. Un esperimento sociale sostenuto anche da Caritas e Libera e studiato nelle università di tutto il mondo.
Il tutto è avvenuto in un regime di occupazione, quindi illegale, ma di fatto tollerata, tanto che dal 2015 presso la prefettura si era insediato un tavolo con la proprietà dell’area, Unicredit leasing, e il Comune di Trezzano per un protocollo d’intesa che prevedesse un comodato d’uso di qualche anno per arrivare poi a pagare l’affitto, una volta che alcune attività avessero preso l’abbrivio grazie alla regolarizzazione.
Puntavano sul riuso, contro lo spreco, ed avevano avviato con un esterno una sperimentazione per il riciclo del pvc contenuto nella carta da parati. Ma sono inciampati in un incidente grave, un’inchiesta che ha coinvolto altre aziende e i fornitori del materiale nell’accusa di associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti. A luglio è stato arrestato il presidente della cooperativa RiMaflow Massimo Lettieri, ora ai domiciliari. «L’unico nostro illecito, alla luce del sole, è l’occupazione – dice Gigi Malabarba – da anni lottiamo per trasformare le nostre attività irregolari in lavoro regolare proprio puntando su un ciclo virtuoso dei rifiuti dialogando con tutte le istituzioni. L’inchiesta è paradossale e siamo certi che Massimo ne uscirà a testa alta». Le altre attività sono proseguite, ma è stata una batosta, con la contemporanea interruzione delle trattative con Unicredit, che ha accelerato sullo sgombero. «Improvvisamente sembra che non si voglia più tenere in vita questa esperienza» dice Michele Morini, un altro socio. I negoziati con la proprietà continuano anche in queste ore. La speranza è che venga offerta una sede alternativa e molti sono i soggetti che si sono attivati, dalla Caritas, a Don Rigoldi, all’imprenditore Cabassi, proprietario della sede del Leoncavallo. Domani dalle 8 presidio nella fabbrica di via Boccaccio 1.
PAOLA RIZZI
@paolarizzimanca
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