Carlo Verdone “Uno Dieci Cento Verdone”
8:00 pm, 21 Novembre 18 calendario

«La mia forza? Nella mia fragilità»

Di: Redazione Metronews
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ROMA – «La mia forza? È nella mia sensibilità, nella mia naturalezza. Io vado a istinto. Sembra sicurezza? No, io la chiamo spontaneità. Alle spalle ho avuto una famiglia che mi ha sempre stimolato. Fu mio padre a regalarmi la prima tessera del cineclub dove ho scoperto il mondo di Germi e Fellini, e mia madre a buttarmi sul palcoscenico nel 1977 con un calcio nel sedere e con un incoraggiante: Vai in scena, fregnone! Perché un giorno mi ringrazierai!». È un Carlo Verdone in forma smagliante quello che stamattina ha presentato “Uno Dieci Cento Verdone”, elegante volume di scatti firmati da Claudio Porcarelli per il Banco BPM. Cento immagini selezionate dal fotografo storico di Carletto che si professa «innanzitutto suo grande fan: lavorare con lui – dice – è come entrare in pasticceria, dov’è facile trovare cose ghiotte, come i suoi personaggi. Io ho dovuto solo fermare l’immagine. Spero di esserci riuscito».
Il volume in 3000 copie omaggio del  Banco BPM – “Uno, Dieci, Cento Verdone” sarà poi nelle librerie nel 2019, assicura il protagonista – vuole celebrare i 40 anni di carriera dell’autore e attore che ha segnato la storia del cinema italiano dalla fine degli Anni ’70 ad oggi. Sì perché l’1 dicembre si festeggiano i 30 anni dall’uscita del cult “Compagni di scuola”  e già c’è l’assalto agli eventi in programma.
«Claudio è stato veloce a catturare i miei personaggi  – spiega Verdone – e questo libro ferma la mia vita artistica: mi è piaciuto rivedere, sfogliandolo, momenti che avevo dimenticato».
La prima impressione? «Mamma mia, ho pensato, in quante anime mi sono calato! In me c’è stato tanto furore creativo e tanta spontaneità. I personaggi?  Sono nati dalla gestualità: partendo dalla voce, catturata la psiche, il resto andava da sé».
Un esempio del suo modo di lavorare sul set? «Ricorderò sempre il finale di “Bianco, Rosso e Verdone”: prima di fare l’emigrante che va a votare e manda tutti a quel paese ho chiesto 20 minuti di silenzio. Mi sono chiuso in una stanza a ripercorrere con la mente tutti i disastri di quel disgraziato. Poi sono uscito e ho detto: motore! E sono partito come una mitraglia. L’applauso dei generici fu il segno che era buona la prima. Invano mi costrinsero a girarne un’altra per sicurezza: al 2° ciak avevo perso la velocità e la spigliatezza».
E a chi continua a paragonarlo ad Alberto Sordi Verdone risponde: «Io non ho niente di Sordi: lui è un grande. Io faccio un altro tipo di lavoro: fragilità, vulnerabilità e tenerezza sono gli ingredienti della mia commedia».
E a proposito della maggiore difficoltà oggi di fare commedie, lui non ha dubbi: «L’identità maschile è cambiata. I romani sono stati deportati nelle periferie, non ci sono più i mercati rionali di una volta, ma i supermercati, nessuno parla dalle finestre dei palazzi, si è persa l’umanità e la varietà. La città è sempre più povera quindi è più difficile tirar fuori dei personaggi, dei caratteristi come in passato. Oggi la gente si apre di meno: c’è odio sociale ed è un turpiloquio continuo grazie all’omologazione. Il tatuaggio? Ce l’hanno tutti ormai, mentre un tempo era rarità. Così come tutti hanno lo stesso taglio di capelli e lo stesso smarphone. Si digita sempre di più e si parla sempre meno».
Allora il cinema è finito? «No, noi non ci arrendiamo. Anche se oggi si combattono le peggiori guerre, quelle economiche, e il futuro è sempre più incerto e nebuloso. Pensavamo che dopo la II Guerra Mondiale il peggio fosse passato, invece no. Siamo in un Medioevo senza orizzonti. Ma arrendersi, mai!».
Che fare? «Bisogna rischiare e azzardare. Io, personalmente, più sono in difficoltà e più rendo. Quando recito con le donne, in particolare, sono di una fragilità estrema, con mille patemi e non un furbetto alla Sordi. Il comico non può essere “trombante” se non vuol prendersi i fischi del pubblico: ho raccontato sì i vari mitomani, ma sempre con le loro fragilità».
Che epoca era la sua? «Quella del femminismo: sia io che Troisi abbiamo rappresentato, in modo diverso, la nostra confusione, le nostre difficoltà».
Un pensiero sui ragazzi di oggi. «Sono rimasto colpito da un episodio che mi ha riferito Veronesi su un tema svolto in una scuola di cinema di Roma: ai ragazzi si chiedeva dei loro sogni. Sapete cosa hanno risposto? Cose del tipo: rifondare la Banda della Magliana, essere a capo di una banda di spacciatori o comunque comandare… Le più cattive? Le donne e i temi erano tremendamente seri: “Vuoi mettere personaggi con le palle come il Freddo?”, è stata la spiegazione dei più. Triste no?! C’è tanta rabbia in giro»
E a proposito della questione Netflix Verdone ammette: «Non si può fermare l’evoluzione, certo, ma la perdita del passaggio del film in sala, tempio dell’immagine, per me sarebbe un gran dolore».
Ma siamo nell’era di internet: «Certo, per i giovani la condivisione è il web, ma non ha la stessa concretezza della sala. Quindi mi auguro che le sale restino. Anche se non sono d’accordo con la decisione del Festival di Cannes di escludere i film targati Netflix perché non distribuiti al cinema».
Una battuta sui suoi progetti futuri: tipo un film sull’ultimo libro di Totti. «Una fake news, Francesco ha altri progetti e non se n’è mai parlato. Mentre farò un film con Veronesi, ma non posso dire molto. Il progetto pilota è stato presentato ed è piaciuto a De Laurentiis. Ora c’è un ballottaggio in corso tra Netflix e Sky. Io sarò regista e coprotagonista con altri cinque o sei attori perché sarà un film corale. Come piace a me».
 
 
ORIETTA CICCHINELLI
 

21 Novembre 2018
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