«Gli inviti al matrimonio in Palestina sono un rito»
ROMA È, come recita il titolo, un “Wajib. Invito al matrimonio” ma è anche un “dovere sociale“. Una tradizione attraverso cui raccontare la Palestina di oggi. Lo fa Annemarie Jacir, nel suo film candidato all’Oscar per rappresentare la Palestina e da oggi in sala. A sorprenderci.
Perché “Invito al matrimonio”?
Perché e` una tradizione ancora molto importante. Quando qualcuno si sposa, gli uomini della famiglia, solitamente il padre e i figli, devono consegnare personalmente gli inviti al matrimonio a ciascun invitato, senza intromettere estranei, a qualunque costo. È proprio una sorta di dovere.
Da dove parte il film?
Dall’idea che potevo mettere un padre e un figlio (reali) per cinque giorni insieme durante questo rito e vedere che cosa accadeva: il padre è un tradizionalista mentre il figlio vive in Europa.
È anche un pretesto per esplorare il funzionamento di una comunità?
Certo. La distribuzione degli inviti di nozze in Palestina, una terra occupata da 70 anni, è cruciale come reclamare un’identita.
Come mai ha scelto di ambientare la storia a Nazareth?
Perché Nazareth oggi è un ghetto. I palestinesi lì sono chiamati “invisibili”, hanno scelto di restare invece che vivere una vita di rifugiati e sono cittadini di seconda classe, privati di una parte dei loro diritti, costretti ad avere documenti d’identità israeliani. Ma sono una vera minaccia demografica per Israele e le tensioni aumentano.
SILVIA DI PAOLA
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