Aids
9:00 am, 30 Novembre 17 calendario

Aids: oggi 1 su 4 ignora di essere malato

Di: Redazione Metronews
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SALUTE Dal 1988 il 1° dicembre è la Giornata mondiale contro l’Aids, la malattia che dal 1982 si stima abbia ucciso oltre 25 milioni di persone. In questi 36 anni molto è cambiato: la popolazione a rischio – ieri erano i “tossici e gay”, oggi sono gli eterosessuali -, le terapie – grazie ai farmaci antiretrovirali -, la speranza di vita dei malati. Non è cambiato invece lo stigma che accompagna i sieropositivi. Un grosso errore. Visto che oggi il tempestivo accesso alle cure permette di abbassare la viremia di un malato – sia al sieropositivo che al paziente in Aids conclamata -, rendendolo non più infettivo. Grazie ai trattamenti antiretrovirali, infatti, i pazienti vivono una vita normalissima e possono mettere al mondo figli sani. Non solo, i pazienti diventano così anche il baluardo contro il diffondersi dell’epidemia.
È il principio della TasP (Treatment as Prevention, trattamento come Prevenzione) che ispira la campagna “Noi possiamo” della Lila. «Si tratta di un’evidenza scientifica rivoluzionaria – dice il presidente Nazionale Lila, Massimo Oldrini – paragonabile all’avvento delle terapie antiretrovirali: anche per questo abbiamo deciso di farne il tema della campagna con cui celebriamo i nostri 30 anni». 
Il target è quel 25%  di infettati che non è consapevole del proprio stato, condizione che mette a rischio il soggetto, che ritarda l’accesso alle terapie, ma soprattutto aumenta la trasmissione. Secondo il ministero della Salute, nel 2016 in Italia sono stati 3.451 i nuovi casi di Hiv (5,7 ogni 100 mila residenti); l’85,6% delle trasmissioni è avvenuta attraverso rapporti sessuali non protet e tra il 1982 e il 2014 sono stati 68.982 i casi di Aids, con 44.254 deceduti. Andrea Sparaciari
IL PROF. LAZZARIN: «I TEST DEVONO ESSERE PIU’ FACILI E GRATUITI»
«Se vogliamo rendere “irrilevante” l’epidemia di Aids entro 20 anni, dobbiamo concentrarci sui “sommersi”, quel 25% di casi – circa 25 mila persone in Italia –  che ancora ignora di essere malato. È questo il fattore che rende la diffusione ancora incontrollabile». Parola del professor Adriano Lazzarin, primario della Clinica malattie infettive del San Raffaele di Milano. 
Professore, chi sono questi “sommersi”?
Da una parte sono i nuovi contagiati, soprattutto giovani maschi omosessuali; dall’altra sono persono di una certa eta, ex tossici o eterosessuali, che hanno contratto l’infezione negli anni ’80, magari durante un viaggio ai Caraibi o in Brasile. Per questa tipologia, le campagne di prevenzione tradizionali incidono poco, perché sono già malati. Al limite hanno bisogno di fare i test. 
Però lo stigma sociale si rivolge soprattutto verso i pazienti che si curano… È quindi un errore? 
È un doppio errore: prima perché uno stigma sociale è sempre sbagliato, poi perché il sieropositivo o il conclamato che si sottopone alle cure, non trasmette l’infezione. 
Perché ancora tanta ritrosia a fare il test? 
Perché non è “easy”, mentre lo si dovrebbe poter fare dove e quando uno crede, non in un ospedale e dopo aver risposto a domande imbarazzanti sulle proprie abitudini. Certo, esiste un test disponibile in farmacia, ma è ancora a carico del cittadino, mentre dovrebbe essere gratuito.  Oggi il 90% di chi sottopone al test, è sieronegativo. Quindi con l’attuale sistema non riusciamo a intercettare intere fasce di malati, e torniamo al discorso dei “sommersi”. 
Lei parlava di giovani tra i nuovi casi, com’è possibile? 
Per molti ragazzi la percezione del rischio oggi è zero. Oppure è vissuto come rischio accettato. Da almeno 10 anni i giornali non parlano di Aids perché 3000 casi l’anno sono pochi. Dobbiamo tornare a parlarne nelle scuole. ANDREA SPARACIARI
 

30 Novembre 2017
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