Maturità: sì, ma ora la cosa seria da fare è smetterla
Non capisco perché ogni anno ci dobbiamo occupare dei temi di italiano della maturità. Se c’è un appuntamento al quale non si può dare buca è questo. Quasi che, scorrendo i titoli, abbiamo conferme di quanto il Paese è progredito o meno. E pensare che la sola cosa da fare, nella scuola, è quella di togliere quella bolsa prova. Argomenti vecchi, complicati, giri, su di giri, circonvallazioni per dire e non dire. Quest’anno una tacca in più c’è, ma quel notte prima degli esami meglio accucciarlo in soffitta, giusto per evitare di auto compiacersi di un rito stucchevole. Un giovane è giudicato durante l’anno scolastico dai compiti in classe e non da un professore svogliato, calato da chissà dove, spesso, con certificato di malattia munito per starsene a casa e non far parte della commissione. Sai che insegnamento di vita dire ai giovani che gli esami non finiscono mai. Suvvia, esigiamo una istituzione scolastica con carattere e non quella ciarlatana dei terni al lotto. Con al primo posto un solo precetto: studenti, cavatevela da soli. Dovete avere meno bisogno della scuola. Aloha is my mood. Solo così gli studenti capiranno quanto hanno desiderio, quasi affettivo, dell’istruzione. Con illusioni e disillusioni. Degli studenti e delle famiglie. Già dire ai giovani usciti da scuola che non possono diventare tutti ambasciatori, scienziati o direttori del Tg1 è un gran compito educativo. Il lavoro è dove c’è. Senza drammi. Quei 509 mila italiani che dal 2008 hanno lasciato l’Italia, in buona parte, non sono stati obbligati. Quindi, invece dei test di maturità fate le vere innovazioni. Come in Francia. Arrivato il Presidente Macron ha tolto i compiti a casa. Ci sono molteplici percorsi da esplorare. Da un tema di italiano della maturità non si valuta un bel niente.
Da quali catini, oggi, i giovani attingono informazioni? Quanti leggono i giornali? O vedono la tv? Siamo franchi: intelligenza, cultura, capacità di analisi e carattere non sono né nell’elaborato della maturità e, esagero, neanche nell’istruzione. Stiamo parlando di altro. Di leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza, per stare ai sei capitoli di Lezioni americane di Italo Calvino. Ai giovani che escono dagli studi superiori basterebbero, due o tre, di questi traguardi. Senza alcun esame. Perché alla generazione del like e del mi piace va detto quello che Tim Cook, il secondo papà di Apple ha scandito davanti agli studenti del MIT di Boston: “Mi sono accorto che vivo meglio da quando ho smesso di preoccuparmi di ciò che gli altri pensano di me. Sarà lo stesso per voi. Rimanete concentrati su ciò che conta davvero”.
Maurizio Guandalini
Economista e giornalista
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