Maurizio Baruffaldi
7:15 am, 16 Maggio 17 calendario

Noi, la naja e la noia

Di: Redazione Metronews
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L’OPINIONE Un amico aveva ricevuto la lettera di congedo per esuberanza di reclute, e io ventenne dopo la maturità provai nei suoi confronti un’invidia nuova, l’invidia verso qualcosa che selezionava gli eletti con un tiro di dadi. Che un po’ di militare facesse bene era facile da dire, ma impossibile da credere. Un altro si era dichiarato omosessuale senza esserlo, non ricordo se si fosse procurato un documento di qualche associazione o meno, ma comunque non partì. E mi colpirono la spregiudicatezza del gesto, e il coraggio. Non partì nemmeno l’amico eroinomane, ma lì era lampante, e la tristezza non cambiava. Per il resto tutti “a fare il militare”. Durante il mese di Centro Addestramento Reclute, con un caporale spaventato dai superiori e durissimo con noi pivelli, imparai a marciare, a tenere il fucile come un rigido ballerino di fila, a mangiare la sbobba, dentro vassoi di un metallo opaco, e a camminare nella nuova città, nelle ore di libertà serali, come lo sbarcato da un altro pianeta. Anche senza divisa ce l’hai scritto in faccia: oggi il taglio da soldato nazi è una moda, allora era soldato e basta. E prima di tutto eri una spina. Anche solo un mese di differenza faceva la differenza di trattamento. Di aggressività e derisione. Quello che tutti conoscono con il nomignolo di nonnismo. La sottile violenza delle sortite in camerata perpetuava però solo un rito, visto che non era motivata da una potente sofferenza e condivisione; nessuno combatteva al fronte o difendeva un confine.
Se sofferenza c’era, a parte quelli ai quali mancava la mamma o la fidanzata, era subdola, latente, figlia dell’inutilità. Anche le amicizie che sembravano importanti quando eri dentro, fuori svanivano: non avevi condiviso nulla di profondo. So che naja è una parola che deriva dal veneto (da razza, poi gente, infine gentaglia) ma potrebbe benissimo derivare da una leggera storpiatura di noia. Tutto si riduceva al resistere quei dodici mesi. E la noia mista ad un nonnismo ottuso, può essere terreno fertile per la paura. Un nostro compagno di camerata era arrivato a spararsi in testa durante l’ora di guardia. Puntato il fucile nell’angolo di muro si era fatto saltare il cervello. Come a voler tragicamente giustificare la presenza di quell’arma con la quale doveva convivere. Un caso estremo, certo, però dimostra quanto la dimensione della caserma obbligatoria fosse assurda. E alla fine magari racconti come epico qualcosa che è stato solo ciondolare. Quando il 1 gennaio 2005 l’arruolamento è terminato abbiamo messo fine ad una farsa. Si chiamava servizio militare, ma era al servizio del nulla.
MAURIZIO BARUFFALDI
Giornalista e scrittore

16 Maggio 2017
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