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9:06 pm, 28 Febbraio 17 calendario

Soldi per guerra (fredda) con l’incubo nucleare

Di: Redazione Metronews
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USA Come viatico al suo discorso davanti al Congresso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha trovato di meglio che alzare ulteriomente la posta sulle spese militari. Dopo i 54 miliardi di dollari annunciati lunedì (un incremento di quasi il 10%) che porteranno il budget della Difesa a quota 603 miliardi di dollari, ieri il presidente ha detto che potrebbe chiedere al Congresso altri 30 miliardi di dollari per il bilancio delle forze armate. Immediata la replica di Mosca che, pur sottolineando la «prevedibile retorica di Trump», si dice pronta – se le intenzioni dovessero rivelarsi reali – a rispondere rublo su rublo.
Supremazia muscolare
E gli occhi sono puntati sul potenziale nucleare, considerato che lo stesso Trump ha esordito alla Casa Bianca sostenendo che «sarebbe meraviglioso se nessun Paese avesse testate nucleari, ma se i Paesi hanno testate nucleari allora noi saremo il “top”». Prima vittima del teatrino sulla supremazia muscolare globale – che rafforza sul piano interno sia Trump che Putin – potrebbe essere l’accordo “New Start” siglato da Usa e Russia nel 2010 per la limitazione del 30% dei rispettivi arsenali nucleari entro il febbraio 2018. Ma, più in generale, potrebbe invertirsi la rotta di quasi mezzo secolo di stentata distensione, iniziata nel 1968 con la firma del Trattato di Non Proliferazione Nucleare da parte di Usa, Russia e l’allora Unione Sovietica (seguiti 2 anni dopo da Francia e Cina). Nel 1970 si contavano in tutto il mondo oltre 38.000 bombe atomiche che raggiunsero nel 1986, quando la Guerra Fredda era alle battute finali, il picco di oltre 69.000 ordigni in nome della deterrenza reciproca e in grado di assicurare la «certa distruzione reciproca».
L’era dei trattati Start
Negli arsenali delle potenze atomiche, dichiarate e non, c’erano ordigni sufficienti a distruggere più volte la Terra. Da allora i successivi trattati firmati da Usa e Urss e poi dalla Russia hanno visto calare il numero di testate sotto quota 20.000. Nel 1991 è iniziata l’era dei trattati Start con l’obbligo di non produrre più di 6.000 testate nucleari e di avere al massimo 1.600 missili balistici intercontinentali. Nel 1993 si arrivò allo Start II, firmato da Boris Eltsin e George W. H. Bush, che proibiva l’uso dei missili intercontinentali in grado di trasportare su un singolo vettore più testate atomiche indipendenti (accordo mai applicato). Tra alti e bassi si è giunti al grande accordo per la riduzione degli arsenali, il “New Start” firmato nel 2010 da Obama e dall’allora presidente russo Medvedev. Venivano ridotti a 700 i vettori nucleari pronti al lancio. La scadenza era nel 2018, ma nella sua prima telefonata con Putin è stato subito azzerato da Trump.
A colpi di testate
Sono 15.350 (dati 2016) le testate nucleari negli arsenali delle nove nazioni a esserne dotate. Russia e Stati Uniti ne detengono da soli il 93% del totale. Delle oltre 15 mila testate, circa 10 mila sono nelle scorte militari (le altre sono in attesa di smantellamento), 4.200 delle quali schierate con le forze operative (con 1.800 pronte al lancio). Russia, Usa e Regno Unito hanno lentamente ridotto gli arsenali, mentre Francia e Israele mantengono riserve stabili.    A preoccupare sono però Cina, Pakistan, India e Nord Corea, che continuano ad accrescere il loro potenziale distruttivo.
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28 Febbraio 2017
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