Infortuni
8:00 am, 23 Febbraio 17 calendario

Crociati rotti in Serie A Per l’esperto ci si allena poco

Di: Redazione Metronews
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CALCIO Florenzi è  solo l’ultimo. Prima di lui ci sono stati Montolivo, Milik, Molinaro, Perin, Melchiorri. Un rosario di nomi uniti da un denominatore: il crociato rotto. In nessun altro campionato è così. Ne abbiamo parlato con il professor Corrado Bait, ortopedico specializzato in traumatologia dello sport.
Attualmente in Serie A c’è il record di crociati. Vogliamo chiamarla sfortuna o c’è qualcosa d’altro?
Non credo si tratti di sfortuna. Oggi un top team può arrivare a disputare fino a tre partite alla settimana, ed in questo modo non c’è tempo per allenarsi: badi che l’allenamento non equivale solo alla cura della tattica, ma serve a garantire la gestualità tecnica e quindi a prevenire gli infortuni. I tempi sempre più ristretti sono la causa principale. Ma c’è poi anche la sfortuna. Prenda il caso di Florenzi per esempio (è tornato sotto i ferri, ndr), che era nei tempi di recupero corretto: basta una buca, uno squilibrio, e la situazione precipita.
Si può dire che il nemico del crociato, per i giocatori, è anche il rientro in campo anticipato?
Il rientro anticipato non è il nemico, ma un rischio che a volte si corre: una nuova distorsione può esporre il legamento ad una nuova rottura. Ricorda il caso di Franco Baresi, durante i mondiali americani? Se va bene va bene, e si grida al miracolo: altrimenti c’è il rischio che la situazione peggiori. Tuttavia tutte le grandi squadre hanno staff specializzati ed efficienti e non esporrebbero mai a dei rischi un giocatore dall’alto valore economico. Bisogna ottimizzare la fase di recupero, per cui ci sono protocolli conosciuti e condivisi.
Quante modalità di intervento ci sono? E come mai ogni tanto si sceglie la terapia conservativa?
Sono decenni ormai che l’intervento si fa in artroscopia, e le tipologie sono due: tendine rotuleo o  semitendinoso. E per quanto riguarda gli sportivi professionisti, non si sceglie mai la terapia conservativa: forse si potrebbe ipotizzare per un nuotatore, ma non per tutti gli altri sportivi che hanno a che fare con cambi di direzione repentini, salti, corsa.
Quanto è importante la psicologia o la forza di volontà del paziente per un coretto recupero?
Determinante. Le motivazioni sono fondamentali. Dal signor Rossi allo sportivo di alto livello, l’approccio mentale positivo è vincente.
I campi di nuova generazione aiutano o sono un moltiplicatore di guai?
Da un punto di vista meccanico sono campi più uniformi. Se lei è mai stato a San Siro, per esempio,  saprà che il terreno ha delle buche e non è perfettamente uniforme, cosa che capita anche in altri campi di Serie A. Il problema è che i campi di nuova generazione hanno un grip differente, per cui è importante avere attrezzi adatti a questi nuovi terreni. Di qui gli studi sulle nuove scarpe e sui tacchetti, che devono avere forme diverse. Il rischio, con attrezzi non adatti, è che sia più facile farsi male.
Sono allo studio, per il futuro, terapie per redere più facile l’intervento e più breve i tempi di recupero?
I tempi di recupero sono legati alla biologia ed alla qualità dei tessuti. Detto questo, le tecniche evolvono continuamente e sono sempre più rispettose dell’anatomia. Mentre ieri si guardava più alla funzionalità,  l’obiettivo oggi è sempre più quello di ricostruire nello stesso modo in cui aveva fatto la natura. Non è facile. Ma solo così otterremo miglioramenti in fatto di tempi e recuperi.
A.B.

23 Febbraio 2017
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