Sulla rotta di Gentiloni lo scoglio del Jobs Act

ROMA «Completare l’eccezionale opera di riforme e innovazioni iniziata in questi anni». Così il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nella sua replica a Palazzo Madama dove ha incassato il voto di fiducia più atteso, considerato il diniego di Verdini e dei suoi 18 senatori, che hanno lasciato l’Aula (insieme a Lega e M5S). I sì sono stati 169, i contrari 99 e nessun astenuto. La maggioranza richiesta, su 269 presenti, era di 135 voti. L’esecutivo, ha aggiunto Gentiloni, «si impegnerà in un lavoro di facilitazione sulla riforma della legge elettorale».
Renzi mira ad aprile
L’obiettivo del segretario del Pd, Matteo Renzi, è andare al voto all’apertura della prima finestra elettorale disponibile, quindi aprile, per arrivare con un nuovo premier all’appuntamento del G7 a presidenza italiana, che si svolgerà a Taormina a maggio. Così l’assemblea Pd di domenica 18 dicembre, più che aprire l’iter verso il congresso potrebbe lanciare le primarie per il candidato premier, lasciando le strutture del partito così come sono. Ad incoraggiare i dem a stringere i tempi è anche la notizia che l’11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale esaminerà l’ammissibilità dei tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro (articolo 18) e Jobs Act.
Poletti: votare prima del referendum
Un altro “schiaffo” referendario non sarebbe sostenibile. Così, per allontanare lo spettro, il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, lo ha detto chiaro e tondo: «Mi sembra che l’atteggiamento prevalente sia quello di andare a votare presto, quindi prima del referendum sul Jobs Act». E la minoranza dem va all’attacco: «Più che invocare le urne per evitare il referendum – ha detto Roberto Speranza – si lavori subito per modificare il Jobs Act, a partire dalla vergogna dei voucher». «Se vogliono davvero evitare il referendum entro l’estate – ha rimarcato Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana – reintroducano l’articolo 18».
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