MAFIA CAPITALE
8:15 pm, 15 Settembre 16 calendario

Cantone: “La corruzione di Roma non è mafia”

Di: Redazione Metronews
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ROMA Per il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, nell’amministrazione capitolina non ci sarebbe stata una vera e propria organizzazione criminale di stampo mafioso, ma un «sistema farraginoso e difficilmente controllabile», dove la presenza di oltre cento centri di spesa avrebbe reso impossibili anche le indagini. Dalla burocrazia infetta, all’assenza di programmazione politica e di risorse economiche, secondo Cantone, che non si è soffermato singolarmente sui 1.125 casi presi in esame nella relazione dell’Autorità nazionale anti corruzione sullo stato di salute del Comune di Roma, sono tanti gli elementi che avrebbero influito negativamente sul sistema degli appalti.
«Già prima di Mafia Capitale – ha affermato Cantone – avevamo notato che le procedure negoziate erano applicate nel 90% degli appalti. Sono continuate anche con Alemanno e Marino, in molti casi anche quando non servivano». Per molti servizi, come l’emergenza abitativa, infatti, le gare sarebbero potute essere programmate con largo anticipo, invece di ricorrere alle proroghe. Ma questo, solo in pochi casi sarebbe avvenuto. «Di fatto le proroghe – spiega Cantone, che ha citato il caso dei canili comunali – sono affidamenti diretti, non previsti dal codice dei contratti».
Nel corso del suo intervento, in cui ha annunciato anche un’istruttoria in corso dell’Anac su Ama, Cantone più volte ha puntato il dito sulle tante opacità contabili emerse nelle carte visionate dall’Anticorruzione. Anche se, incalzato da Alessandro Diddi, legale di Buzzi, ha poi precisato: «Non spetta all’Anac formulare ipotesi di reato. Noi ci limitiamo a segnalare irregolarità. Ad oggi posso dire che casi di 416 bis non ci sono mai capitati».
Le sue parole hanno fatto tirare un sospiro di sollievo i legali degli imputati, a dispetto della pubblica accusa. Tuttavia non sono state l’unico colpo di scena della giornata. Dopo Cantone, infatti, a sedere di fronte ai giudici della X sezione penale è stato il presidente del consiglio regionale del Lazio Daniele Leodori, chiamato come testimone sempre dai legali di Buzzi. Leodori, dopo aver iniziato a rispondere alle domande di Diddi, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, avendo appreso di essere indagato in un altro filone dell’inchiesta direttamente dal pubblico ministero Luca Tescaroli. Che tuttavia ha precisato: «Per lui è stata chiesta l’archiviazione».
Al contrario, l’ex assessore capitolino all’ambiente Estella Marino, anche lei chiamata in veste di testimone, ha ricostruito la sua esperienza amministrativa di fronte ai giudici: «Quando nel 2013 ci insediammo in Campidoglio, molti affidamenti erano in scadenza e ricordo una particolare insistenza delle cooperative. Salvatore Buzzi era una presenza costante in Campidoglio, anche se non avevamo rapporti. Io non ho mai subito pressioni da lui, nè da persone a lui riconducibili. Anche perchè prima dell’inchiesta non avrei saputo riconoscerli».
MARCO CARTA

15 Settembre 2016
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