MAFIA CAPITALE
6:30 pm, 7 Luglio 16 calendario

Mafia Capitale entra nel vivo

Di: Redazione Metronews
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ROMA. A contarli con esattezza sono 245 giorni, di cui 100 passati dentro l’aula bunker di Rebibbia, ascoltando più di 50 testimoni, mentre Roma, nel frattempo, cambiava pelle, umori e bandiere. Da Ignazio Marino al commissario Francesco Paolo Tronca, fino alla sindaca Virginia Raggi, che proprio oggi presenta la sua giunta a 5 Stelle. Sono passati quasi otto mesi e Mafia Capitale, “il processetto”, come lo avevano definito i suoi detrattori, è finalmente entrato nel vivo. E dopo che la procura ha calato le sue carte per sostenere l’accusa, ora è arrivato il turno degli imputati e della pletora di testimoni. Il dilemma insomma è più aperto che mai: il sodalizio di Mafia Capitale può essere considerato come una vera organizzazione criminale autoctona o, più semplicemente, è solo un sistema allargato di corruzione capace di contaminare il comune e la regione?  
“E’ impensabile che Carminati solo esistendo costituisca una minaccia”, ha detto più volte il suo legale Giosuè Bruno Naso. Eppure per la procura i dettagli emersi nel corso delle udienze costituiscono segnali inequivocabili del clima di terrore generato dal sodalizio e i pm, oltre ad aver portato in aula nuove prove, come la tentata usura a Bruno Caccia, titolare di un piccola impresa di trasporti, sono convinti di aver dimostrato che, in almeno due occasioni, anche Salvatore Buzzi, estraneo al mondo criminale del “cecato”, si sia avvalso della forza intimidatrice di Massimo Carminati per risolvere le controversie in seno alle sue coop. Dentro Mafia Capitale non ci sono gli omicidi, nè le armi, che, secondo uno dei pentiti ascoltati in aula, Sebastiano Cassia, “Massimo Carminati procurava negli anni 90 alla cosca siciliana di Benedetto Spataro”. Ma ci sono le estorsioni, le minacce e le intimidazioni, che, in alcuni casi le vittime hanno raccontato in aula, sollecitate anche dai legali di parte civile. Uno dei testimoni chiave del processo, il pentito Roberto Grilli, ad esempio, dopo aver tentato di ritrattare il verbale del dicembre 2014, in cui collegava Massimo Carminati al traffico internazionale di droga che lo vedeva coinvolto, è capitolato di fronte ad un audio rubato: “Se confermo, non duro una settimana”. Allo stesso modo, il proprietario di un autosalone, Luigi Seccaroni, ha sminuito in aula il tenore delle minacce subite per essersi rifiutato di vendere a Carminati  e Riccardo Brugia un terreno di sua proprietà. Addirittura, Filippo Maria Macchi, vittima di usura, pur di non comparire di fronte ai giudici aveva inventato la morte di un parente. “Questa è gente che si ricorda di te per anni”. Mentre l’imprenditore Riccardo Manattini, vittima di tentata estorsione, poco prima dell’inizio del processo, è stato avvicinato da due sconosciuti, che lo hanno messo in guardia: “Manattini, non si costituisca parte civile, viva la sua vita sereno”.
 C’è poi il mondo della corruzione nell’amministrazione pubblica, che coinvolge anche la politica, ricostruito dal Ros e corroborato anche dagli esperti dell’Anac, una piaga che aveva completamento pervaso il comune di Roma, “caratterizzato da un vero e proprio degrado amministrativo”, secondo il viceprefetto Enza Caporale, così come le municipalizzate come l’Ama, definita “una baraonda in mano ai politici” dall’ex dg Giovanna Anelli. Più volte, le difese degli imputati hanno contestato le ricostruzioni degli inquirenti, “il campo rom di Castel Romano – ha precisato Buzzi – è costato solo 1,4 milioni di euro a fronte degli oltre 9 spesi dal comune per la Barbuta”, anche se il nodo processuale che potrebbe risultare decisivo è proprio quello che ruota intorno all’Ama, la municipalizzata ai rifiuti.
 I bonifici partiti dalle coop di Buzzi verso la Fondazione Nuova Italia, di cui Franco Panzironi, ex ad di Ama, era segretario e Gianni Alemanno presidente, ammonterebbero a circa 300 mila euro, regolarmente registrati. Nel corso delle udienze, Panzironi, però, ha anche parlato di “pacchi di banconote” per finanziare la campagna elettorale di Gianni Alemanno per le europee del 2014, ma l’ex sindaco ha sempre smentito, così come, a sua volta, Pasquale Bartolo, legale di Panzironi, con veemenza ha reagito alle accuse di Alessandro Diddi, legale di Buzzi, che per ricostruire l’origine dei rapporti economici fra i tre ha raccontato un episodio precedente alle indagini. “Nell’agosto del 2009 – ha affermato Diddi – dopo che Buzzi si rifiutò di dare 100 mila euro a Franco Panzironi, alle coop Buzzi venne revocato un subappalto dalla Multiservizi per la pulizia dei cimiteri. Da lì nacque una frattura che si risanò solo nel settembre 2010 nel pranzo pacificatore fra Buzzi e l’ex sindaco Alemanno”.
La strategia dei legali di Buzzi è chiara: trasformare da corruttore a “vittima di concussione” l’ex ras della 29 giugno, che ha inoltre chiamato a testimoniare una sfilza infinita di prefetti per mettere in mostra tutte le debolezze istituzionali del sistema dell’accoglienza sui migranti. Da Giuseppe Pecoraro, che ha ammesso di aver incontrato Buzzi su richiesta del sottosegretario Gianni Letta, fino a Mario Morcone, il quale, nonostante i tentennamenti, non ha potuto nascondere gli ottimi rapporti con Luca Odevaine, che, secondo gli inquirenti, avrebbe ricevuto da Buzzi almeno 150 mila euro fra il 2012 e il 2014. E’ presto per dire se Alessandro Diddi e Piergerardo Santoro riusciranno a ribaltare la posizione del proprio assistito. Di certo, più dei nomi altisonanti che nei prossimi mesi affolleranno l’aula bunker, sarà fondamentale la deposizione del commercialista Paolo Di Ninno, l’unico in grado di decifrare quel libro nero della contabilità delle coop di Buzzi, in cui sono contenuti numeri, fatture e nomi. Per molti il vero tesoro di Mafia Capitale. 
MARCO CARTA

7 Luglio 2016
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