Jeeg Robot / Nice Guys
9:21 pm, 29 Maggio 16 calendario

Black si racconta a Gabriele Mainetti

Di: Redazione Metronews
condividi

Uno – Shane Black – è un regista mito di Hollywood, a Roma per presentare “The Nice Guys”; l’altro – Gabriele Mainetti –  ha appena vinto sette David con “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Mainetti ha deciso di intervistare il collega e di pubblicare su Metro questa loro chiacchierata.
CINEMA Mi trovo in una sala al primo piano di un hotel di Roma. Shane Black fuma una sigaretta elettronica e inizia a disegnare su un foglio bianco un uomo di spalle. Joel Silver è stravaccato su una piccola sedia e sbadiglia ripetutamente, mostrando incurante le otturazioni. Immagino siano stanchi: il tour, le interviste, il jet lag. L’emozione è tanta: sono vicino allo sceneggiatore di “Arma Letale” e “L’Ultimo Boy Scout” e al produttore di “Die Hard”, “Matrix” e “Sherlock Holmes” e sto per fare qualcosa che non ho mai fatto prima: un’intervista.
Come è nato il progetto?
SB: Ci sono state diverse versioni. L’ultima l’ho scritta 5 anni fa, quella precedente l’avevo scritta 7 anni prima, poi ce n’è stata una ancora precedente di 9 anni fa, e infine una di 13 anni fa.
JS: Sì, nel 2001 non destò grande interesse, quindi Shane iniziò a scrivere “Kiss Kiss Bang Bang”. Poi, Robert Downey Jr. volle che Shane s’impegnasse a fare “Iron Man 3” (10° incasso della storia di Hollywood, ndr) e quando, dopo il successo, gli chiesero cosa avrebbe voluto fare, rispose: “The Nice Guys”.
Perché avete scelto Ryan Gosling e Russell Crowe?
SB: Perché sono dei bravi attori, non sono dei comici, anzi… È stata una scelta improbabile per una commedia, ma era esattamente ciò che volevamo: che non fosse una commedia normale, ma un thriller, un giallo, però molto divertente.
Ciò che mi colpisce molto del tuo cinema è il bisogno di raccontare l’amicizia. Perché è così importante?
SB: Credo sia una questione di salvezza in un mondo che appare molto duro, dove a volte l’unica cosa alla quale ci si può aggrappare sono le persone che credono in te quando tu non riesci a farlo. C’è un’espressione che si usa con gli alcolisti che dice: “Vieni a lasciarti amare fino a quando tu non saprai amare te stesso”. E credo sia proprio questo il nocciolo, ad esempio, di “Arma Letale”, dove il protagonista grazie ai nuovi legami riesce a capire che c’è un’alternativa alla sua vita. Credo sia qualcosa di davvero potente.
Anche il rapporto con i bambini è molto presente nei tuoi film. Li tratti sempre come adulti calandoli in situazioni assurde per la loro età!
SB: Sì, quando ero piccolo apprezzavo il fatto di essere preso sul serio. Ad esempio detestavo gli show televisivi destinati alle famiglie –  e quindi accessibili ai bambini – , in cui i duri non picchiavano mai, al massimo sollevavano qualcuno e lo buttavano in piscina. Pensavo sempre: “Se hai la forza di sollevare una persona, perché non gli dai un pugno?”. Macché! Quelli buttavano i cattivi addosso ai pini e loro rimbalzavano. Ero un bambino, ma anche i bambini hanno un forte senso della realtà.
Tu sei stato un attore e uno sceneggiatore, però hai esordito tardi come regista. Hai sempre voluto farlo?
SB: Ho dovuto farlo perché altrimenti mi sarei annoiato molto. Scrivere è un processo molto solitario. A volte scrivevo chiedendomi chi avrebbe mai letto quelle cose; forse mia madre? O forse neanche lei…  Mi sentivo molto solo. Una volta finito, lo sceneggiatore si ferma, mentre qualcun altro si diverte al posto suo. Non mi sembrava la strada giusta per me. So quello che voglio vedere e Joel sa il tipo di film che mi piace. Insieme siamo riusciti a trovare un modo capace di analizzare la figura dell’investigatore privato: lui si diverte molto e io ottengo esattamente quello che voglio. Ora dobbiamo solo far sì che il pubblico sia d’accordo con noi e che lo vada a vedere al cinema.
Grazie mille. A proposito, “The Nice Guys” è un gran bel film!
GABRIELE MAINETTI

29 Maggio 2016
© RIPRODUZIONE RISERVATA