Maurizio Zuccari
7:30 pm, 27 Aprile 16 calendario

Libia, per l’Italia l’attesa è finita

Di: Redazione Metronews
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L’attesa è finita per una nuova avventura dell’Italia in Libia. Dopo mesi di tira e molla sembra suonata l’ora x il contingente italiano che dovrà dare una mano per la messa in sicurezza del paese, come tutti fuorché i diretti interessati vogliono. La pezza d’appoggio che l’Onu chiedeva per intervenire è giunta dal premier Fayez Serraj, a capo del governo di Tripoli raffazzonato grazie al pressing dell’Onu stessa con esponenti tribali non certo di spicco del dopo Gheddafi. Ora i governi occidentali si dicono pronti a fare la propria parte per proteggere pozzi e impianti dalle mire dell’Isis. E, ovviamente, l’Italia dovrà intervenire militarmente sulla quarta sponda per la terza volta nella sua storia recente, anche se ancora traccheggia sul come e quanto, se con poche centinaia d’uomini o più, e se gli Amx di stanza a Trapani dovranno bombardare o limitarsi a sorvolare Tripoli bel suol d’amore. Ma non è questa l’incertezza maggiore per l’Italia nel nuovo fronte che va aprendosi in concomitanza alla spedizione a Mosul, per fare fronte comune all’onnipresente baubau del califfato dietro insistenza Usa.
Il guazzabuglio libico è, se possibile, più complesso del ginepraio iracheno. Dei quattro governi che si contendono il paese sprofondato nella guerra civile alla caduta di Gheddafi, nel 2011, quello di Tripoli è il solo avallato dall’Onu, finora a chiacchiere. L’altro, a Tobruk, gode del sostegno dell’Egitto di Al Sisi e degli Emirati, che armano la mano e le colonne mobili del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Tobruk, impegnato a ripulire Bengasi dalle milizie di Al Qaeda e dei Fratelli musulmani, e pronto a far marciare i blindati appena ricevuti in barba all’embargo su Sirte, in mano all’Isis. Coadiuvato nell’operazione da Francia e Gran Bretagna coi loro commando e caccia. Allora, l’appello di Tripoli a fare presto, con l’Italia volenterosamente gettata dagli alleati in prima linea tra le fazioni pur di non farle perdere un treno su cui farebbe bene a non salire, è un gioco delle parti volto a fare del nostro paese il solito vaso di coccio tra svariati di ferro. Preso tra i veti incrociati delle milizie e gli estremisti islamici che minacciano di portare la guerra a Roma, la volontà di Obama-Hillary di sfilarsi dal caos libico da loro innescato e le doppiezze degli alleati occidentali. Renzi finora non ha ceduto a chi lo tirava per la giacchetta in questo gioco a perdere, ma l’attesa è finita e sulla quarta sponda tornerà a sventolare un tricolore da sforacchiare.
MAURIZIO ZUCCARI
giornalista e scrittore

27 Aprile 2016
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