Immigrati: adottiamo i loro paesi d’origine
Emergenza immigrati. È una frase che abbiamo sentito milioni di volte in questi anni, che però non ha più senso e non da una rappresentazione chiara e corretta della questione. L’emergenza si riferisce a un momento, a una situazione particolare, mentre l’immigrazione di massa è diventata oramai una realtà, se volete essere pessimisti cronica, oppure fisiologica se virate all’ottimismo.
In tutte e due i casi dovremo conviverci stabilmente, fatevene una ragione. E allora, invece di continuare ad azzuffarci su chi è pro o contro, su emigranti e rifugiati (come se ci fosse un confine netto), sarebbe stato interessante, soprattutto in Europa, che è la patria delle dottrine economiche e politiche, incominciare ad analizzare in modo più scientifico la questione, a riflettere sul ruolo del modello capitalistico e su quello della finanza, sulle democrazie sviluppate e quelle da sviluppare e soprattutto sulle opportunità che l’apertura al mondo di grandi e ricchi paesi, o interi continenti come l’Africa, potrebbero portare al benessere collettivo generale, invece di innalzare muri e barriere, inutili e dannose.
È un discorso complesso ovvio, qualcuno direbbe demagogico, ma perché non iniziare a ragionare sulla possibilità per ogni stato o nazione europea di “adottare”, ad esempio, un singolo paese o una nazione africana? Adottare dico e non sfruttare; adottare e contemporaneamente far/ci adottare, in un rapporto diretto e privilegiato scambiando cultura, tecnologia, intelligenze, territori, mano d’opera, idee. Collaborare, dare e ricevere, “avere un bis ed essere un bis”. Si svilupperebbero infinite possibilità e si impegnerebbe il tempo a progettare, a ideare e a realizzare per accogliere ed essere accolti, altro che respingere, altro che tragedie in mare.
UMBERTO SILVESTRI
giornalista e scrittore
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