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5:51 pm, 10 Aprile 16 calendario

Sì al referendum un passo verso le energie pulite

Di: Redazione Metronews
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Andrea Boraschi è responsabile della campagna clima e energia di Greenpeace.
Da settimane vive con la valigia pronta, quasi ogni giorno una destinazione differente. Iniziative, meeting, conferenze, assalti a trivelle o costruzione di una trivella nel centro di Firenze. Un’azione di Greenpeace che ha inscenato nel cuore della città di Renzi.
Perché votare sì al referendum?
Per motivi tecnici e politici.
Iniziamo dai primi.
Le concessioni a trivellare devono avere una scadenza al pari di tutte le altre. Invece il governo ha concesso loro il diritto a utilizzare il nostro mare sine die, fino alla fine del giacimento. Il che significa che gli industriali possono decidere liberamente se e quando estrarre, in base alle condizioni di mercato, e anche eludendo le royalties (è quanto le aziende estraenti pagano allo Stato in percentuale sull’estratto, come canone di concessione, ndr).
In che modo?
Estraendo sotto la franchigia: quando parlano di royalties non ci dicono tutto. Gli oneri, molto scarsi, si pagano da un certo numero di barili estratti in poi. Se si resta al di sotto di quella soglia, non si paga nulla. Eliminando i limiti temporali alla concessione si lascia gli industriali liberi di estrarre rimanendo sotto quella soglia, in base alle convenienze e al mercato. Regaliamo il nostro mare, insomma.
Potrebbe essere comunque ragionevole pensare di sfruttare fino in fondo un giacimento dato che ormai gli impianti ci sono e la risorsa da estrarre pure. Non è uno spreco lasciarla lì?
Se estraessimo tutto il gas copriremmo il 2% del fabbisogno nazionale. Per il petrolio si scende allo 0,8%. Sono percentuali che possono essere coperte tranquillamente.
Con l’importazione, rendendoci sempre più dipendenti dall’estero.
E qui veniamo al discorso politico. Vogliamo che l’Italia resti un Paese fossile o che venga traghettato verso una politica energetica sostenibile?
Però le automobili vanno a benzina no a pannelli solari…
Sì ma nessuno dice che la trasformazione debba essere fatta dalla sera alla mattina. Ma bisogna cominciare. Togliere le trivelle è solo il primo passo.  Questo governo non vuole proprio sentirne parlare, è troppo legato alle multinazionali del petrolio, come Tempa Rossa ha dimostrato.
Questa trasformazione lascia sul campo forza lavoro che resterà disoccupata.
Intanto se vince il sì nessuno resta disoccupato, perché le concessioni continuano esattamente come era previsto due mesi fa, prima dell’entrata in vigore della norma da abrogare. E nessun industriale o sindacato si era mai lamentato della disoccupazione di fine concessione. Poi facciamo chiarezza sui numeri: a seconda delle dichiarazioni, questi posti di lavoro persi vanno dalle 3mila alle 130 mila unità coprendo tutti i valori intermedi. Numeri in libertà. La cifra precisa l’ha detta il ministro dell’ambiente Galletti, cifra che corrisponde a quanto fonti sindacali hanno riferito a noi di Greenpeace: sulle piattaforme lavorano circa 70 persone. Ora, da 70 a 10mila con l’indotto? Possibile che ci sia un indotto del genere? Poi Renzi negli ultimi discorsi ha detto 11mila: l’indotto è aumentato di mille lavoratori in una settimana. E tra l’altro: con una produzione così bassa si genera un indotto così alto? Siamo seri. La verità è che tre piattaforme su 4 oggetto del referendum producono niente o poco.
Forse nell’indotto si considera anche il turismo, dato che a Ravenna con le cozze da piattaforma fanno anche una sagra.
Lei le mangerebbe?
Hanno anche il presidio slow food…
Dunque, il fronte del no dice che le piattaforme non inquinano. Greenpeace ha chiesto al ministero i dati dei monitoraggi commissionati da Eni, quindi non da un comitato ambientalista. Dati che il ministero teneva nel cassetto e che abbiamo ottenuto con un’istanza di pubblico accesso agli atti. E dai dati emerge che quelle piattaforme inquinano eccome. Anche se i limiti di legge non sono violati quelle cozze contengono idrocarburi e metalli pesanti. Quindi la contaminazione c’è.
I limiti di legge italiani, sostiene il fronte del no, sono tra i più severi d’Europa.
Sono talmente severi che le piattaforme non sono considerati dalla nostra legge impianti a rischio di incidente rilevante, smentendo la storia stessa degli insediamenti industriali di questo tipo. E consideri che su 135 piattaforme, il ministero ci ha fornito i dati del monitoraggio solo per 34. Abbiamo chiesto gli altri e ci ha risposto Eni con un comunicato in cui ci spiega che i restanti 100 non sono sottoposti a monitoraggio. Capisce? Hanno licenza per fare quello che gli pare. Poi dalle recenti intercettazioni si parla del monitoraggio della piattaforma davanti a Brindisi che secondo la nostra inchiesta sarebbe inclusa tra le 100 senza controlli. Vengono monitorate sì o no?
Resta la risorsa energetica sprecata, in caso di stop alle trivelle. E ne approfitterebbero i nostri vicini di casa.
La Croazia ha votato una moratoria all’estrazione. Il messaggio è chiarissimo: vogliono puntare sul turismo, che vale molti più punti di Pil del gas o del petrolio. E noi?
STEFANIA DIVERTITO

10 Aprile 2016
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