referendum trivelle/il no
5:18 pm, 3 Aprile 16 calendario

Leader in gas e petrolio non possiamo abbandonarli

Di: Redazione Metronews
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ROMA Pierluigi Vecchia, geologo, membro del Consiglio direttivo della Società Geologia Italiana e coordinatore della Sezione geologia degli idrocarburi.
Perché lei sostiene che questo referendum sia assolutamente inutile?
Il quesito non riguarda scelte strategiche, ma una tecnicalità. Non è materia da referendum: è come chiedere se i chirurghi debbano usare il bisturi di un materiale o di un altro. Se si voleva fare una cosa seria lo strumento a disposizione c’era: bastava proporre una legge di iniziativa popolare formata da un solo articolo nel quale si dice che entro 6 mesi sono vietate tutte le attività legate all’esplorazione, produzione e stoccaggio di idrocarburi. Almeno si sarebbero delineate meglio le responsabilità.
Lei dice che non si tratta nemmeno di uno stop alle trivelle.
I sostenitori del Sì hanno creato confusione, con una campagna che colpisce l’immaginario anti-petrolio. In realtà sulle 92 installazioni – della trentina di concessioni presenti nelle 12 miglia – meno di dieci sono petrolifere, le altre sono tutte di gas naturale. Un combustibile che l’ambientalismo illuminato ritiene la fonte ottimale per traghettarci verso altre energie. L’impatto pratico della vittoria del Sì sarebbe che entro il 2018 andrebbero a scadenza solo la metà delle concessioni, tutte per il gas e nessuna per il petrolio.
Qual è il pericolo reale di possibili incidenti petroliferi?
Molti citano l’incidente del Golfo del Messico, ma da noi non esistono i presupposti di estrazione, meteomarini e ambientali perché ciò possa verificarsi. Sono diverse la capacità di intervento e la profondità dell’acqua, oltre al fatto che da noi le strutture sono solidali al fondo e le pressioni non sono elevatissime. Certo l’impatto zero non esiste, ma l’unico incidente importante è avvenuto nel 1965, agli inizi dell’estrazione, nella piattaforma per il gas “Paguro” che prese fuoco e si inabissò provocando tre vittime. Il più grave incidente con idrocarburi è stato quello della Haven nel porto di Genova e questo ci dovrebbe far riflettere sulle importazioni di petrolio.
Anche i sostenitori del No ammettono che le quantità di petrolio e gas prodotte dall’Italia sono minime.
È vero, anche se non del tutto come quota di produzione energetica interna (30% per il petrolio e 60% per il gas estratto dal mare). Ma ci sono altre due considerazioni: la prima è che se vince il Sì rischiamo di frenare quella professionalità e quella innovazione tecnologica che oggi ci vedono primeggiare in tutto il mondo nel settore estrattivo; la seconda è che un Paese che cambia le carta in tavola durante il gioco non è più credibile. Oggi avviene per le piattaforme petrolifere, domani magari per un’altra attività. Qual è l’investitore che decide di scommettere in questo modo? Se infine l’impatto della produzione petrolifera italiana è risibile, come sostengono quelli del Sì, a cosa serve imbastirci sopra un referendum?
Ma il passaggio verso fonti più pulite è indispensabile per le politiche di contenimento dei cambiamenti climatici globali.
Esiste già uno strumento normativo per la strategia energetica nazionale, adottato con decreto ministeriale nel 2013. Parla di efficienza delle reti, di risparmio e rinnovabili. Definisce gli idrocarburi come una “fonte traghetto” verso altre. Allora partiamo da questa strategia e ragioniamo sul fatto che le fonti energetiche durante la transizione vanno prodotte insieme e non in contraddizione.
Perché non puntare sulle rinnovabili?
In Italia senza incentivi non reggono e hanno già raggiunto la quota obiettivo di bilancio energetico del 18% in totale (36% nella produzione elettrica). Questo significa che se faccio 10 km con un’auto elettrica in Italia 3,6 li sto facendo con le fonti rinnovabili e ben 6,4 con il gas. Ogni anno la produzione domestica di gas e petrolio fa risparmiare 5 miliardi. Per importare energia ne spendiamo 55, ogni italiano paga 900 euro l’anno. Siamo sicuri che se chiudiamo queste piattaforme siamo in grado di cambiare l’interruttore? Perché certo non lo possiamo spegnere.
LORENZO GRASSI

3 Aprile 2016
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