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5:11 pm, 3 Aprile 16 calendario

Futuro è nelle rinnovabili non si deve tornare indietro

Di: Redazione Metronews
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ROMA Alberto Bellini, docente del Dipartimento ingegneria energia elettrica dell’Università di Bologna, tra i fondatori di “Energia per l’Italia” ed ex  assessore all’Ambiente del Comune di Forlì.
Quello sulle trivelle non è un tema troppo tecnico per un referendum?
Tutti i referendum sono su quesiti “tecnici”. Ma perché non ci si è posti questa domanda in altre occasioni, come sul nucleare? Perché i referendum hanno innegabilmente una valenza politica. In realtà in origine i quesiti referendari proposti dalle Regioni sulle trivelle erano sei, con un raggio di azione assai più ampio. C’è stato uno svuotamento, ma ciò è avvenuto perché il governo si è visto costretto a fare delle correzioni di rotta. Dunque un risultato questa campagna lo ha già ottenuto.
Un risultato che voi del Sì non ritenete acquisito.
Che fine potrebbero fare i temi degli altri cinque quesiti se vincesse il No? Dalle urne potrebbe arrivare un segnale che rischia di farci tornare indietro, ridando carta bianca alla lobby petrolifera. Se questo referendum fosse così insignificante come dicono, perché allora si preoccupano tanto e hanno mobilitato i potentati dei grandi interessi economici?
Lei sostiene che non si è capito il vero tema del referendum.
Al di là delle trivelle, il quesito in votazione pone un problema di natura giuridica. Il governo infatti ha previsto il prolungamento di tutte le concessioni senza gara: questo è un principio irricevibile, che viola ogni norma sulla concorrenza. Non è ammissibile in un Paese civile il rinnovo automatico delle concessioni senza termini.
Alcuni sostenitori del Sì prospettano pericoli di incidenti petroliferi. Sono reali?
È un errore strategico enfatizzare il rischio “marea nera” per piattaforme che al 90% si occupano di gas e poi nel nostro Paese i livelli tecnici e di sicurezza sono elevati. Il problema vero è che queste piattaforme hanno esse stesse un impatto ambientale enorme. A Ravenna si è velocizzato il fenomeno della subsidenza: storicamente l’abbassamento naturale era di 0,2 centimetri l’anno, ora siamo arrivati a 2 centimetri l’anno e nessun esperto si arrischia ad escludere che ciò non sia legato all’estrazione. Tanto che si sta ragionando sull’ipotesi di rimpiazzare il gas estratto con immissione di acqua. La seconda minaccia ambientale è quella dei sedimenti rilasciati dai tubi, che hanno un impatto enorme sui delicati ecosistemi marini.
La riduzione dei combustibili fossili non è già nelle strategie dell’Italia?
Qualcuno mi mostra dove? Dov’è la pianificazione energetica del nostro Paese per rispettare gli obiettivi di Parigi, ovvero per non estrarre né usare più di un quinto delle risorse disponibili, contenendo le emissioni e frenando il riscaldamento globale sotto i 2 gradi? Questa strategia non esiste e l’unica documentata è quella ereditata dal governo Monti che suggerisce l’aumento dell’uso di combustibili fossili per ridurre i costi dell’energia in Italia.
Le fonti rinnovabili sono un’alternativa sufficiente e praticabile?
Oggi coprono il 40% della produzione elettrica nel nostro Paese. C’è chi vuole negare l’evidenza, ma già con le tecnologie attuali si potrebbe arrivare al 70%. Quella che manca è la volontà politica. Sino a quando sarà reso economicamente più vantaggioso produrre energia dai combustibili fossili è ovvio che si useranno quelli. Ma se non partiamo subito con la riconversione non arriveremo mai.
Una transizione economicamente sostenibile?
Secondo lo stesso Fondo Mondiale Internazionale i combustibili fossili hanno costi ambientali e sanitari superiori ai margini di profitto, dunque si tratta di un’attività economica in perdita. Ogni anno si spendono 5.300 miliardi di dollari per sussidi ai combustibili fossili. Anticipare la transizione significa iniziare a risparmiare prima. Qualcuno può dimostrare che votando No si vada in questa direzione?
LORENZO GRASSI

3 Aprile 2016
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