Maurizio Zuccari
6:02 pm, 15 Febbraio 16 calendario

Tifo vietato ai neoborbonici

Di: Redazione Metronews
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Spira un silenzio di pietra sui lastroni del monastero di santa Chiara, dove sono sepolti la gran parte dei sovrani napoletani. Ma non c’è pace per i Borboni, né per lo stemma che li sovrasta effigiato sul marmo, inventato da Carlo III di Borbone. Il fondatore di un regno conquistato a metà Settecento fra intrighi di corte e guerre di successione. Che seppe però regalare ai suoi sudditi quel gioiello della reggia di Caserta capace di rivaleggiare con Versailles, nell’abbandono grazie all’ignavia degli ex sudditi coèvi. E quel teatro, il San Carlo, sulla cui volta ammuffa il variopinto simbolo che si beò d’inventare e mirava, nasone all’insù, dal palco reale.
Fuori da silenzi di tomba e loggiani teatrali, lo stemma borbonico è tornato a far parlare di sé nel luogo della contemporaneità più distante da essi: gli stadi. Da qualche tempo, infatti, solerti funzionari di polizia sequestrano a man bassa bandiere e striscioni col simbolo della monarchia tracollata con l’unità d’Italia, «addirittura sfilandole dal collo dei bambini», denuncia Gennaro De Crescenzo, presidente dei movimento neoborbonico. Un fatto incomprensibile, si duole il professore che ha dato mandato ai suoi legali di denunciare gli agenti. Tanto più che il Gos (Gruppo operativo sicurezza) che vigila sul calcio ha dichiarato leciti i simboli storici nel tifo. «Per lo stemma borbonico di un’epoca sepolta nei libri di storia invece è partita la crociata», sintetizza il Tempo. Pure l’ex vincitore di Sanremo Povia – di fede interista – invita in un video i tifosi napoletani a tirare fuori – testuale – palle e stemma agli stadi.
Storia sepolta e orgoglio sudista, inviti che poco s’acconciano. Come per la bandiera del Sud strapazzata dagli unionisti durante la guerra civile americana, divenuta simbolo d’ogni rivolta antifederale e destrorseria dal Ku Klux Klan in qua. Come per la bandiera della Repubblica veneta che si gloriò di sventolare a Lepanto e ora s’ammoscia sui catafalchi leghisti. Avevano ragione Marx e Franceschiello, l’ultimo re Borbone. Il primo a dire che la storia, quando si ripete, è sempre farsa. L’altro a dire che ai napoletani, che sognavano l’Italia, sarebbero rimasti solo gli occhi per piangere. Ora manco più gli striscioni per tifare Napoli col simbolo dell’ultimo re che lasciò la città nel 1860, per non arrischiarsi a difenderla da sudditi malfidi, oggi neonostalgici.
MAURIZIO ZUCCARI,  giornalista e scrittore

15 Febbraio 2016
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