Maurizio Guandalini
5:20 pm, 30 Novembre 15 calendario

Sui laureati ha ragione Poletti

Di: Redazione Metronews
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Quando il ministro Poletti afferma che laurearsi con lode a 28 anni non serve un fico secco (serve, ahinoi, solo per i concorsi nella pubblica amministrazione), meglio il tocco a 21 con 97 di voto, dice una verità sacrosanta. E fa bene a dirlo malgrado la rivolta stupidina via social che lo “accusa” di non essere laureato (occorre la Magistrale per parlare di Accademia?) e di aver fatto carriera nelle cooperative (forse è un reato?). Lo snodo è noto: il rapporto Università e lavoro. Per lavorare serve una laurea?  L’Italia nei paesi Ocse è agli ultimi posti per numero di laureati e di coloro che in Università non ci mettono piede.
Fabrizio Corona, ha iniziato una serie di corsi di marketing dal titolo “La comunicazione efficace”:  dispenserà consigli su come lanciare un prodotto sul mercato, far decollare una attività o diventare famosi. Trecento euro per tre ore.  L’Università dovrebbe chiedersi: dove ho sbagliato? A me non disturba Corona “professore”.
Anzi. Sono per il mercato tout court, sia dei luoghi di formazione che dei docenti. Il mix proteico che funziona è questo: tre ore di marketing, un docente, Corona, che, a suo modo, ci sa fare e l’entusiasmo dei partecipanti.  Forse, nelle Università, ci sono troppi insegnamenti, molti inutili, giusto per far cattedra e, docenti loffi, che dovrebbero fare corsi di ‘comunicazione  efficace’. Perché l’Accademia italiana non risolve, una volta per sempre, il conflitto con il mondo del lavoro? Capiamo il mercato.
Capiamo che le Università vendono prodotti e quindi ne lanciano a getto continuo: ma quanto contano? Possibile che per spostare le posate sul tavolo serve un master? Ma le aziende siamo sicuri che chiedono il master in comunicazione per vendere tondini? I responsabili delle risorse umane delle imprese che format applicano per l’assunzione di personale? Quando li sentiamo dire, “dobbiamo far crescere dei mercenari tra i nostri dipendenti e poi premiamo i migliori”, oppure, “in azienda contano solo i talenti”,  applicano gli insegnamenti appresi in Aula Magna o sono intrugli fatti in casa loro?  Giovani italiani siate , materie che in Università non si insegnano. Sarà un caso che nessuno dei ‘geni’ dell’era informatica  è laureato? Forse i dati Ocse ci preoccupano se stiamo ai vecchi modelli. Le fonti del sapere e della cultura non sono solo l’Università. Laureati sì o laureati no. Anche qui, però, chi assume deve mettersi in linea e cambiare la valutazione dei percorsi formativi: serve sempre una laurea? In caso contrario giriamo a vuoto e finiamo per fare il solito film.
MAURIZIO GUANDALINI
economista e giornalista, FondazioneIstud

30 Novembre 2015
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