ALLARME TERRORISMO
9:37 pm, 24 Novembre 15 calendario

La sfida di un’italiana nel ghetto dei jihadisti

Di: Redazione Metronews
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INTERVISTA Come si vive nella culla del jihadismo europeo? La domanda la facciamo ad Annalisa Gadaleta, ambientalista barese di 44 anni, due figli, dal ‘94 trasferita in Belgio per amore e dal 2012 assessora alla Cultura e all’Istruzione di Molenbeek, il sobborgo di Bruxelles da cui sono partiti gli attentatori di Parigi del 13 novembre. “Molenbeek non si può ridurre a questo. Ci sono 100 mila abitanti con una grande diversità sociale e culturale, mentre stiamo parlando di pochi individui”.
Ce lo racconti lei Molenbeek e i suoi problemi.
La disoccupazione è al 30 per cento, in alcune aree al 50%. Siamo il secondo comune più povero del Belgio, è chiaro che ci sono dei disagi.
Perchè proprio lì il reclutamenti dei jihadisti?
Che ci siano forme di radicalizzazione violenta lo sappiamo dal 2001, quando qui hanno arruolato i killer di Massoud, il capo della resistenza afghana ai talebani. Da qui sono partiti anche quelli di Charlie Hebdo. Poi ci sono i foreign fighters, una cinquantina, sette sono tornati. Ma la vera novità è che ora le persone si radicalizzano e  vengono reclutate non per partire ma per commettere reati qui. La vera domanda, se permette è: dove stavano i servizi segreti?
Come avviene il reclutamento?
Chi lavora sul territorio ci spiega che c’è una strategia precisa: ci sono dei reclutatori che scelgono le persone fragili, fanno il lavaggio del cervello come nelle sette e questo lavoro viene fatto per strada.
Quindi non nelle moschee?
A Molenbeek abbiamo il 40 per cento di musulmani, 26 moschee, 16 delle quali sono organizzate e con loro abbiamo ottimi rapporti. Poi esistono un paio di moschee dove si fanno discorsi più radicali, ma non violenti. Non è lì il problema.
Il fratello del ricercato numero uno Saleh Abdeslam lavora in Comune, lo conosce?
No, ma chi conosce la famiglia è rimasto molto sorpreso. Saleh e l’altro fratello che si è fatto saltare erano tipi da coffe shop, ne frequentavano uno che è stato chiuso per traffico di stupefacenti.
Lei si occupa di cultura, cosa fate per contrastare questi fenomeni?
Quando ci siamo insediati tre anni fa ci siamo trovati davanti in certe zone un certo ripiego identitario, ci sono quartieri dove prevale la monocultura e dove si parla solo berbero, nemmeno il francese. Noi cerchiamo di creare occasioni che favoriscano la multiculturalità e l’integrazione, anche attraverso corsi di lingua. Io poi mi occupo della scuola e anche li stiamo facendo un gran lavoro su questi temi. La scommessa è cercare nella comunità musulmana le forze per creare un argine al radicalismo.
PAOLA RIZZI
@paolarizzimanca

24 Novembre 2015
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