TERRORE A PARIGI
7:00 pm, 15 Novembre 15 calendario

Troppe frustrazioni in Medio Oriente

Di: Redazione Metronews
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INTERVISTA Paolo Branca, professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, esperto di Islam e responsabile della diocesi di Milano per il dialogo interreligioso da tempo mette in guardia contro i rischi di radicalizzazione anche sul nostro territorio proponendo alcune contromisure come per esempio la creazione di master e di borse di studio per promuovere la formazione di nuovi leader religiosi.
Come valuta i  fatti di Parigi dal suo osservatorio di esperto di cultura islamica?
Si tratta di fanatici criminali che vanno messi in condizione di non nuocere. Mi pare poi evidente che non è più un gesto isolato come nel caso dell’attentato a Charlie Hebdo, ma è un rappresaglia strettamente legata alla posizione che ha assunto la Francia nel conflitto mediorientale.
Che cosa può succedere adesso?
Quello che non deve succedere è di fare il regalo a questi fanatici di ritenerli rappresentativi di tutto il mondo musulmano. I musulmani nel mondo sono un miliardo e mezzo e se fossero tutti così sanguinari io e lei non staremmo qui a parlare. Il pericolo di applicare generalizzazioni però c’è.
Del resto c’è un giornale nazionale che all’indomani dell’attentato ha titolato “Bastardi islamici”. Come reagisce la comunità musulmana a questi tragici avvenimenti?
Ho visto molte condanne da associazioni e gruppi islamici e questo è importante. Ma non è sufficiente.
Cosa manca?
C’è una parte che pur condannando questi episodi aggiunge che comunque nei Paesi del Medio Oriente queste uccisioni di massa accadono tutti i giorni. Il risultato è che si diffonde una certa “comprensione”: coloro che commettono quegli atti orribili sono “compagni che sbagliano” però l’analisi della situazione non è completamente distante.
Perchè c’è questa indulgenza?
C’è una grande frustrazione, un risentimento diffuso che si aggrava: nell’area del vicino Medio Oriente siamo passati da regimi corrotti succubi dell’Occidente a realtà completamente destabilizzate. Prima almeno la gente poteva lavorare e andare a scuola, oggi in Iraq, Siria o Libia non si riesce nemmeno a sopravvivere. E le primavere arabe finite così male hanno accentuato la frustrazione. In un quadro così, che qualcuno trovi accettabile che uno Stato Islamico possa essere una soluzione non è così strano.
Che rischi corriamo in Italia, finora sembra che siamo stati risparmiati, lo saremo ancora secondo lei?
L’Italia è considerata una luogo di transito per andare altrove, semmai una base logistica, non un obiettivo. Questo non vuol dire che non ci siano gruppi islamici radicali, ma non di tipo terrorista. La realtà italiana è fatta di pochissime Moschee ufficiali e questo è un male, e di una realtà di 800 moschee clandestine un terzo delle quali è legata all’Ucoi che sostiene i Fratelli Musulmani, un’area radicale. L’idea è che la ricetta islamica risolva tutto, La religione sta sostituendo le ideologie in crisi.
In Francia si presenterà un partito islamico alle elezioni, questo è un bene o un male?
Sono contrario all’idea che religione e politica si alleino troppo strettamente. Il rischio è l’esasperazione dei toni.
Come ci difendiamo?
Con la conoscenza e la cultura: l’idea del Califfato che seduce tanti giovani non ha nulla a che vedere con quella che è stata la realtà storica del Califfato, molto più controversa ovviamente. Bisogna partire dalle scuole, smetterla con una storia italocentrica dal momento che i bambini ormai provengono da tutti i lati del Mediterraneo e semmai introdurre una storia del bacino Mediterraneo che è stata una storia di conflitti ma anche di scambi fecondi. 
PAOLA RIZZI

15 Novembre 2015
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