TERRORE A PARIGI
8:30 pm, 15 Novembre 15 calendario

Orsini: Improbabile un attacco all’Italia

Di: Redazione Metronews
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INTERVISTA Un attacco complesso e impressionante, ma molto legato alla politica estera della Francia in Medio Oriente e alla realtà francese, nonché alla competizione interna al movimento jihadista. Minacce all’Italia sono sempre possibili, ma le statistiche sui complotti dei terroristi mostrano che il nostro Paese resta in fondo alla gerarchia dei loro interessi, ne è convinto Alessandro Orsini, Direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma “Tor Vergata” e Research Affiliate al MIT di Boston.
Ci sono novità nel tipo di attentati di Parigi?
Il salto di qualità è evidente e investe almeno cinque piani. Il primo è quello organizzativo, visto  che i terroristi hanno saputo coordinarsi in modo particolarmente complesso ed efficace. Gli autori della strage di Charlie Hebdo erano tre suddivisi in due gruppi per due attacchi simultanei. Venerdì sono entrati in azione almeno otto ragazzi, suddivisi in più gruppi, che hanno condotto almeno sei attacchi contemporaneamente. Il secondo piano è mediatico e riguarda l’alto livello di “spettacolarità”, se così possiamo chiamarla. Il terzo piano è simbolico. L’uso di giovani che si immolano per la loro fede religiosa utilizzando cinture esplosive è altamente impressionante in società laiche come le nostre che si fondano sulla separazione tra il potere politico e quello religioso. L’ultimo attentato suicida contro una città occidentale risaliva al 2005, con le metropolitane di Londra. Il quarto piano riguarda la numerosità delle vittime mentre il quinto ha a che vedere con il numero dei terroristi che l’ISIS è riuscito a mobilitare. Mai al Qaeda, aveva coinvolto così tanti terroristi per sparare contro i cittadini europei. Sono rimasto colpito anche dalla potenza di fuoco. Per la seconda volta in un anno, hanno utilizzato armi molto potenti, il che significa che la loro rete era piuttosto estesa perché non è facile procurarsi simili mitragliatori e caricatori senza essere scoperti dalla polizia. Era già accaduto con gli attentatori di Charlie Hebdo, che avevano armi da guerra, ma erano solo tre.
Stavolta si può pensare a una esplicita regia esterna?
È presto per rispondere a questa domanda.
Perché stavolta non sono stati scelti obiettivi simbolici?
Perché l’ISIS ha preferito investire sul numero dei morti, anziché sui simboli, per distinguersi da al-Qaeda, che aveva già realizzato un attentato altamente simbolico contro la redazione di Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015. Le due organizzazioni sono in fortissima competizione tra loro e cercano di diversificare i loro “prodotti” nel mercato jihadista.
L’obiettivo è legato alla crisi in Medio Oriente (alleggerire la pressione sull’Isis) o è un fatto interno all’Europa (colpire un nemico ideologico)?
L’attentato nasce dal coinvolgimento della Francia nella guerra contro l’ISIS in Medio Oriente. L’Europa non c’entra.
È un attacco molto legato alla realtà francese o potrebbe succedere ovunque in forma simile? L’Italia?
L’attacco è totalmente legato alla politica estera della Francia. Quanto all’Italia, un attentato terroristico contro il Vaticano durante il Giubileo è possibile, ma poco probabile. L’ISIS e al-Qaeda hanno una gerarchia dell’odio e le statistiche relative ai complotti jihadisti dicono che l’Italia è sempre stata in fondo alla classifica. I terroristi comunicano anche con gli attentati che decidono di non realizzare e, in ben sei mesi, nessun attentato è stato pianificato contro Expo a Milano, nonostante la visita di Netanyahu. Expo è venuto dopo la strage di Charlie Hebdo. Tutti gli italiani temevano di essere colpiti, ma nessuno ci ha toccati. Se domani ci fosse una strage a Roma, non sarei affatto sorpreso e, già da tempo, avremmo dovuto aumentare la spesa per i servizi di intelligence, ma i terroristi hanno una logica di ragionamento e, finora, non hanno mai colpito a caso. Noi siamo esposti, ma meno dei francesi, per cui non vale la logica secondo cui: “Siccome è accaduto a Parigi, deve accadere per forza anche a Roma”.
Lei è a Boston: quali sono le reazioni degli americani?
Gli americani sono molto più abituati degli europei a confrontarsi con l’idea di poter essere massacrati per strada. Sotto il profilo psicologico, sono più forti di noi.
 
OSVALDO BALDACCI

15 Novembre 2015
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