RAPHAEL GUALAZZI
5:00 pm, 10 Settembre 15 calendario

Gualazzi: Questo Expo è una culla di creatività

Di: Redazione Metronews
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MUSICA. Probabilmente non ha mai scelto di fare il musicista. Semplicemente, Raphael Gualazzi, è nato per comporre e suonare, perché il piano somiglia più a una naturale estensione del suo corpo che a uno strumento. Per rendersene conto basta ascoltare la sua musica. Quando racconta l’importanza che hanno quelle sette note nella sua vita, poi, non si può far altro che rimanere ad ascoltare ammaliati.
Quando ha capito che sarebbe diventato un musicista?
Volevo suonare da quando avevo quattordici anni, dal conservatorio, passavo più tempo sul piano che a studiare a scuola, la saltavo per andare a studiare sul piano del conservatorio, perché quello che avevo a casa non mi permetteva di sperimentare come volevo. Nella buona o nella cattiva sorte, la musica è la più bella compagna di vita.
Da bambino, quando suonava il piano, come si immaginava da grande?
Desideravo viaggiare con la mia musica. Sono nato in un paese, Urbino, tanto ricco culturalmente, ma tanto “paese” per molti altri aspetti. Quando mi mettevo sulla panchina del Pincio, perché anche noi abbiamo un Pincio e dà proprio sulla strada per Roma, vedevo il paesaggio e dicevo “chissà se potrò girare il mondo col mio lavoro”. Poi è successo veramente, sono molto fortunato. È un po’ quello che ha descritto un mio conterraneo, Paolo Volponi, in “La strada per Roma”, vincitore anche del Premio Strega.
E ha anche una nuova responsabilità, che effetto le ha fatto essere stato nominato Expo Ambassador?
Sono molto onorato, è un evento che dà visibilità anche a una parte del territorio italiano che magari non sempre ha il risalto che meriterebbe. Poi il fatto che si svolga a Milano rappresenta una grande occasione per tanti imprenditori di vari settori e produttori italiani, possono mostrarsi al mondo. Ma credo sia un’occasione da sfruttare anche per i tanti giovani artisti, non solo italiani.
Qual è il messaggio che vorrebbe veicolare riguardo il tema scelto, “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”?
Ci sono tante energie. Nel mio caso, per esempio, parliamo di creatività, che è una delle forze più grandi, assieme alla cultura, per il nostro paese. Ci sono energie pure che scaturiscono dalla bellezza delle diversità geografiche e culturali, in Italia la creatività nasce partendo dalla forza di contrasto degli opposti.
Come se la cava in cucina?
Me la cavicchio, so fare cose abbastanza semplici. Ma è anche vero che forse la grandezza della cucina italiana sta nelle ricette molto semplici. Anche con poca attenzione si possono fare dei piatti di grandi sapore.
A quale piatto non può rinunciare?
Spaghetti al pomodoro, sono un grande fan.
Milano che genere di musicale potrebbe essere?
È difficile mettere un’etichetta. C’è interesse verso la musica sperimentale, ma anche amore per rock e jazz. È una città con un underground molto vivo, Expo può aiutare nel portare una ventata di internazionalità, di offerta oltre che di pubblico. Che so, magari anche dei turisti che si mettono a suonare nelle stazioni e portano la loro esperienza, magari dall’altra parte del mondo, a chiunque si trovi lì di passaggio. La musica funziona così.
Come sta andando il suo tour?
Molto bene, a inizio agosto ho suonato allo storico Monfortinjazz, a Monforte d’Alba. Lì il pubblico vive ogni respiro del parco, c’è un’atmosfera meravigliosa. Il 27 e il 29 agosto sarò a Palermo, il 31 a Taormina. E ci sarà anche una collaborazione con l’Orchestra Siciliana. L’ultima data italiana è il 15 settembre al Palazzo Reale di Portici, poi andrò a suonare in Svizzera e Francia.
Lei è uno dei musicisti più “internazionali” del nostro Paese anche per via del suo genere, eppure ha avuto grande successo nella manifestazione più “italiana” che ci sia, Sanremo. Come se lo spiega?
Non lo so, la mia avventura è molto particolare, mi sono trovato a suonare una musica che non era adatta a trasmissioni come Sanremo o Eurovision contest, eppure ha funzionato. Non so cosa sia piaciuto nel 2011, forse la fusione tra canzone italiana e mondo tradizionale del jazz a cui mi ispiro. Radici matematiche di questi meccanismi non le conosco, ma questa esposizione mi ha aiutato a suonare in tanti paesi, poi ho consolidato questi percorsi, e ogni giorno si ricomincia da capo, è una cosa bellissima, questo mestiere è affascinante.
 Qual è la sua dimensione ideale, il live o il moneto della composizione?
Io amo tutte le dimensioni della musica. Adoro l’intimità della composizione, magari quando sono vicino alla famiglia e agli amici, in un momento di pioggia autunnale, o un momento in studio mentre si registra con un’orchestra bravissima, come mi è capitato di recente a New York, oppure la performance dal vivo. La cosa più importante è essere gioiosi in quello che si fa, non importa se si tratti di un live o di una composizione, il motore deve sempre essere la passione, altrimenti si perde l’anima della musica.
E com’è la vita in tour?
È bellissima. Soprattutto per me perché, come ho già detto, è quello che sognavo sin da bambino: girare il mondo per andare a suonare la mia musica. Ma oltre al live, c’è anche dell’altro, si condividono tanti momenti di vita vissuta con il resto della band.
FLAVIO DI STEFANO
 

10 Settembre 2015
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