Berton: Vi racconto la mia filosofia di cucina
MILANO. Innovativo, raffinato e innamorato pazzo del suo mestiere. Andrea Berton, Ambassador Expo e apprezzatissimo chef milanese, ci racconta la sua filosofia in cucina. A metà tra la responsabilità del suo ruolo e la missione professionale che si è imposto: ripartire da zero per creare sempre nuovi contenuti e situazioni, tra i fornelli e non solo.
Che effetto fa essere Ambassador di Expo?
È una gratificazione molto importante, e credo anche unica anche. Far parte di questo gruppo di ambassador mi lusinga, ma è anche una responsabilità perché con il mio lavoro ho il dovere di valorizzare ancor più tema scelto, alimentazione e cibo.
Qual è il messaggio che vuole veicolare?
Oggi il cibo deve essere alla portata di tutti, bisogna rispettare il prodotto e soprattutto utilizzarlo nella sua totalità, bisogna conoscere la materia prima in modo profondo.
Un consiglio a chi visita Expo?
Innanzitutto di tenere bene a mente che ci si trova il mondo davanti, credo sia una situazione divertente e nuova. Il consiglio che dò è di assaggiare il cibo di tutti i padiglioni, si scoprono sapori, idee e culture a cui normalmente non siamo abituati a rapportarci.
Quali sono i padiglioni che l’hanno convinta di più?
Nel padiglione giapponese hanno ricreato alla perfezione la loro idea di cucina, sono stato in Giappone e ho ritrovato la stessa filosofia. Anche per la Corea, più o meno, vale lo stesso discorso, hanno tenuto saldi i valori più importanti del loro principio. Identità Expo merita una menzione a parte, credo sia la rappresentazione più chiara di quello che succede oggi in nel mondo del food del nostro Paese. Ogni settimana uno chef diverso italiano va lì a cucinare, credo sia molto interessante e anche stimolante per i visitatori.
Qual è, invece, la sua filosofia in cucina?
Far si che l’ingrediente sia valorizzato, mai snaturarlo, bisogna mantenere il sapore vero e puro. Ogni singolo ingrediente deve sempre rimane molto chiaro e identificabile.
Chi è stato il suo maestro?
Ho iniziato con Gualtiero Marchesi nel 1989, ho voluto iniziare subito nel miglior ristorante in italiano dell’epoca per mettermi alla prova, o andava bene o male, sono partito subito al top. Quell’esperienza mi ha dato il là per capire cosa volesse dire veramente fare il cuoco in tempi non sospetti. Oggi qualcuno lo fa perché è diventata una moda, quando ho iniziato io chi lo faceva ci credeva, era una passione, forse la differenza è questa. Ma non voglio generalizzare, anche oggi vedo dei giovani molto interessati e stimolati, che fanno questo mestiere con grande intensità.
L’ingrediente più importante nella sua cucina?
Il buon senso, quello non deve mai mancare.
Come nasce un nuovo piatto?
Non c’è regola per me. P nascere da mille situazioni diverse: un’ispirazione per aver visto una forma particolare, da un abbinamento di ingredienti, dal gusto.
Nella cucina del suo ristorante c’è un tavolo per due. Come è nata questa idea?
Volevo far vivere un’esperienza completa, il tavolo è proprio dentro la cucina, senza vetri o separazioni. Serviamo piatti a oltranza senza ordinazioni, chi siede a quel tavolo assaggia tutto quello che prepariamo.
Che rapporto ha con Milano?
È una città di grande qualità, che dà molto, se lavori bene sa riconoscerti i meriti. Credo che oggi sia la città in Italia dove il food abbia il miglior grande riscontro e susciti più interesse.
Nel sito del suo ristorante lei spiega «Ogni giorno passavo davanti al cantiere di Porta Nuova Varesine e pensavo: il mio ristorante nascerà lì». Perché?
La mia idea era di aprire in un luogo che a Milano non esistesse, senza collegamenti con nessuna realtà. È stato automatico entrare in contatto. Essendo il primo ristorante col mio nome volevo ripartire da zero.
Da dove è ripartito?
Ad esempio, da quando ho aperto, ho lanciato un menu tutto a base di brodo. Ho valorizzato un ingrediente spesso messo in disparte nella cucina.
Che idea si è fatto degli show cooking in tv?
Secondo me è giusto che ci siano, perché fanno conoscere al grande pubblico il mondo del food. Ben vengano.
FLAVIO DI STEFANO
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