Scuola, indignarsi adesso serve ai nostri ragazzi
Mancano pochi giorni alla riapertura delle scuole: l’anno zero della riforma Giannini. Anno zero, in tutti i sensi. Se uno chiedesse cos’è cambiato rispetto all’anno scorso, la gran parte dei docenti direbbe niente. Alcuni, non pochi, sosterrebbero che la situazione è peggiorata, e di molto. Pochi, pochissimi, che è migliorata. Per gli alunni non è cambiato niente. Qualche mail di dirigenti scolastici che invita i genitori ad aspettare novembre quando con il magnifico organico del potenziamento tutto cambierà. Per la gente c’è quello che Renzi è riuscito a far percepire: il grandioso piano delle assunzioni. L’autocelebrazione, i conti senza l’oste. La fase zero, la fase a, b, c. Un precario su tre ha accettato la proposta della nuova riforma. Addirittura. Va a finire che saranno più i ricorsi. Perché quello che finora ha prodotto di certo, questa riforma, è il trasferimento folle di madri e padri famiglia a centinaia di chilometri di distanza. E una marea di diffide destinata ad aumentare. Non si venga a descrivere questi docenti come capricciosi: dopo dieci, quindici anni di precariato, a quaranta, anche cinquant’anni gli si chiede di fare bagagli e partire. I docenti sono la testa dei nostri figli. Ci stanno dalle 5 alle 8 ore al giorno, coi nostri figli. Se vogliamo bene a loro, ai figli, dobbiamo aprire gli occhi e svegliarci. È un dovere morale quello di informarsi.
Questa riforma non apporterà alcun miglioramento alla qualità dell’insegnamento, quello che riguarda davvero i nostri ragazzi. Anzi la abbasserà, perché abbasserà la qualità di vita dei già vessati docenti. I docenti, quelli che hanno formato, formano e formeranno la coscienza critica dei futuri italiani.
I provvedimenti della 107 vanno nella direzione diametralmente opposta a quella che è la propaganda. Se per incapacità o mala fede, non lo so.
Quel che è certo è che ci vuole uno scarto dell’opinione pubblica. Dei genitori, dei nonni. Di chi si preoccupa per il futuro. Perché chi è proiettato, anche affettivamente, verso le generazioni a venire riesce a spogliarsi del proprio io. E così non sta lì, come la Puglisi, a dire che anche lei quando lavorava in azienda si è dovuta trasferire. I figli non sono scatolette di tonno.
TONY SACCUCCI
Insegnante e giornalista
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