Morto il Mullah Omar Ospitò Bin Laden per l’11 settembre
AFGHANISTAN Ha fatto tremare il mondo, è stato l’antesignano del fondamentalismo più estremo. Il primo a creare un emirato – un principato religioso – nel suo Afghanistan dopo aver scacciato i signori della guerra che trascinavano una feroce guerra civile fin dalla ritirata sovietica. Aveva dato ospitalità con tutti gli onori a Osama Bin Laden, permettendo a lui e ad Al-Qaeda di organizzare gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Quello che oggi è l’Isis lo aveva anticipato lui, compresi i divieti più severi e la distruzione delle opera d’arte: si ricordi il caso degli antichi Buddha di Bamyan distrutti a cannonate. Da parecchio tempo il mullah Omar era sparito dalle prime pagine dell’informazione ma sui monti afghani era riuscito a sopravvivere a molti altri leader, a partire da Bin Laden, ma anche Saddam e Gheddafi, per fare altri esempi.
Ora, secondo la stampa afghana, il mullah Omar è stato ucciso. Avrebbe confermato la morte del leader dei Talebani dell’Afghanistan un funzionario governativo coperto da anonimato. Secondo la fonte, la notizia della “morte” del mullah Omar è stata “confermata” durante una riunione dei vertici della sicurezza. La notizia della morte sarebbe stata “confermata dalle autorità in Pakistan”, che hanno condiviso le informazioni con il governo di Kabul, scrive il giornale afghano online Khaama Press.
Il mullah Omar, guida spirituale del movimento del movimento dei Talebani, era uno degli uomini più ricercati al mondo. Personaggio misterioso è completamente sparito dalla circolazione dalla caduta del regime dei Talebani (1996-2001) e negli ultimi tempi si sono intensificate le voci – mai confermate – sulla sua morte. Lo scorso 15 luglio il sito web del movimento, il cosiddetto “Emirato Islamico dell’Afghanistan”, ha diffuso una dichiarazione attribuita al mullah Omar in cui per la prima volta, dopo 14 anni di guerra, si annunciava l’apertura a colloqui di pace con il governo di Kabul, considerati “legittimi”, ribadendo al contempo l’obiettivo di “porre fine all’occupazione delle forze straniere”.
Le ultime voci in ordine di tempo sulla morte del mullah Omar risalgono alla scorsa settimana quando Fidai Mahaz, gruppo nato da una scissione all’interno del movimento dei Talebani, ha diffuso la notizia dell’uccisione del mullah Omar che risalirebbe a due anni fa. Secondo il presunto portavoce di Fidai Mahaz, Qari Hamza, il leader dei Talebani sarebbe stato ucciso nel luglio del 2013 “dal mullah Akhtar Muhammad Mansoor”, numero due del mullah Omar, “e da Gull Agha”. Lo scorso anno circolavano notizie sulla concessione da parte del mullah Omar al mulllah Akhtar Mohammed Mansoor di tutti i poteri in materia di processo di riconciliazione. Lo scorso novembre la Direzione nazionale per la sicurezza (Nds, i servizi afghani) ha fatto sapere che è “possibile” che il mullah Omar sia morto.
Per l’Nds, il movimento dei Talebani è ormai diviso in tre fazioni, due guidate dal mullah Qayum Zakir e dal mullah Agha e un’altra composta da elementi “neutrali”. Nel tempo non sono mancate neanche voci, messe in circolazione da fonti governative afghane, secondo cui il mullah Omar sarebbe detenuto dalle forze pakistane nella città di Karachi.
Il movimento dei Talebani è in crisi anche per la penetrazione del sedicente Stato Islamico (Is) in Pakistan e Afghanistan. Proprio per rilanciare il mito dei talebani e contrastare l’avanzata dell’Isis in Asia centrale, lo scorso aprile, cercando di smentire le voci sulla sua morte, i talebani hanno diffuso una lunga biografia del Mullah Omar.
Capo indiscusso del Paese tra il 1994 e il 2001, negli anni dell’Emirato Islamico governato dai talebani, su di lui pendeva una taglia di 10 poi 25 milioni di dollari offerti dagli Stati Uniti a chiunque fornisse informazioni utili al suo ritrovamento. Profilo aquilino, barba nera e il viso deturpato dalla perdita dell’occhio destro, che egli stesso si strappò – così raccontano – dopo essere stato colpito da una granata: se non fosse per le poche immagini fatte circolare ad arte, il duro e puro mullah Omar, capo indiscusso dei talebani, sarebbe poco più di una leggenda. Nessun giornalista occidentale lo ha mai incontrato, ma i suoi ‘studenti del Corano’, che seminarono terrore e morte durante gli anni dell’emirato islamico in Afghanistan, lo venerano quasi come un dio.
In effetti, su quest’uomo alto, nato nei pressi di Kandahar (nel villaggio di Nodeh) nel 1959 da una povera famiglia pashtun e fondatore di una scuola islamica, nel tempo si sono accavallate notizie e storie di ogni tipo. Innanzitutto, l’inossidabile fratellanza con Osama Bin Laden, compagno di battaglie nei duri anni della resistenza all’invasore sovietico (si dice che l’ex primula rossa abbia dato in sposa ad Omar la sua figlia maggiore e che abbia preso in moglie una delle figlie del mullah). Fu appunto sulle brulle montagne afghane, guerrigliero nella fazione dei mujaheddin Harakat-i Inqilab-i Islami, che Omar venne ferito al volto e, sentito il sangue colargli sulle guance, si cavò l’occhio per continuare il corpo al corpo col nemico ‘rosso’. Da allora, era solito coprire l’orbita vuota con una benda nera. Dopo che i sovietici abbandonarono il Paese, le azioni del mullah crebbero in patria, fino a farlo acclamare come “il comandante dei fedeli”.
E quando i suoi uomini si impossessarono dell’Afghanistan nel 1996, il mullah Omar mostrò ad una folla ipnotizzata un mantello chiuso in un baule, indicandolo come quello appartenuto al profeta Maometto. Un gesto che gli valse l’investitura di presidente de facto nei cinque, lunghi anni di dittatura talebana, durante i quali il religioso-combattente si distinse per l’applicazione radicale della sharia e per alcuni scempi culturali, come l’abbattimento delle statue di Buddha scavate nella valle di Bamyan.
Anche la fuga dalla ‘sua’ Kandahar, quando gli americani sferrarono l’operazione Enduring Freedom nel 2001, si tinse di leggenda: il mullah sarebbe riuscito a beffare gli americani scappando in sella a un motocicletta dall’assedio di Baghran.
Da allora, nascosto tra le montagne del Pakistan o dell’Afghanistan, ha fatto perdere ogni sua traccia, malgrado la taglia di 25 milioni di dollari posta dagli Stati Uniti sulla sua testa. A parlare per lui i messaggi diffusi dai suoi seguaci e in cui esportava alla resistenza e rendeva onore ai “martiri” qaedisti.
OSVALDO BALDACCI
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