SIRIA
5:48 pm, 29 Luglio 15 calendario

La Siria frantumata fra mille fazioni. E l’Isis gode

Di: Redazione Metronews
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SIRIA Lo scontro che infuria in Medio Oriente rende instabile l’intera regione con conseguenze su tutto il Mediterraneo e anche su di noi (basti pensare alle ondate di profughi, tenendo presente che la Siria rappresenta la maggior crisi umanitaria dell’ultima generazione con il più grande numero di sfollati e rifugiati dentro e fuori i confini). Spesso tale conflitto viene interpretato in modo semplicistico: i ribelli contro Assad, all’inizio; i sunniti contro gli sciiti, a un certo punto; poi infine l’Isis, che tutto copre. In realtà non è così. Già le spiegazioni plurime fanno intravedere che le problematiche sono più complesse ed articolate. Intanto l’Isis, che giusto l’estate scorsa ha avuto la sua improvvisa crescita ed affermazione, ha messo in crisi il sistema geopolitico dell’area, a partire dagli stessi confini, per cui è difficile parlare oggi solo in termini dei vecchi Stati, come Iraq e Siria. Al contempo è altrettanto vero che la situazione di Siria e Iraq sono diverse, e per semplicità si possono provare ad analizzare separatamente. In Siria ad esempio, dove l’Isis ha la sua capitale Raqqa e ha il cuore del territorio da cui è partito anche per la conquista dell’Iraq (benché in qualche modo l’Isis sia più iracheno che siriano), l’Isis è solo una delle numerosissime parti in gioco. Una situazione di una complessità forse senza pari. Per capire la guerra civile che infuria dal marzo 2011 bisogna comprendere che come la Bosnia degli anni Novanta, la Siria è un mosaico di comunità etniche, religiose, politiche che hanno convissuto sotto un regime dal pugno di ferro, e poi sono esplose. Un feroce tutti contro tutti tra regime di Assad, ribelli laici, minoranze etniche, estremisti religiosi, che ha per risultato un massacro quotidiano che ha provocato  centinaia di migliaia di morti.
Il regime di Bashar al-Assad è erede della tradizione del Novecento. Dopo il colpo di Stato che portò al governo il partito nazional-socialista Baath nel 1963, nel 1970 prese il potere Afez Assad, con l’élite alawita (un ramo degli sciiti che in Siria rappresentano il 15 per cento della popolazione), di impronta nazionalista e laica. Alla fine degli anni Settanta la Fratellanza Musulmana (sunnita) insorse in armi contro il regime che reagì con una durissima repressione: la città di Hama, cuore della rivolta sunnita, fu bombardata per giorni dall’esercito di Assad, e si contarono almeno 20 mila morti. Da allora il fuoco ha continuato a covare sotto la cenere. C’è quindi un conflitto religioso tra la dominante casta sciita e la maggioranza della popolazione sunnita. Ma ancora di più c’è un conflitto politico tra gli esponenti del vecchio regime al potere e il resto della popolazione. Allo scoppio delle primavere arabe in tutto il Mediterraneo, anche i siriani hanno iniziato a manifestare chiedendo più democrazia e più sviluppo. Le proteste sono cominciate al sud, nel marzo 2011, e la dura repressione ha spinto sempre più verso lo scontro violento e frontale. La dura reazione del regime e le incertezze della comunità internazionale hanno trasformato le proteste in una guerra civile cronicizzata, dove ognuna delle numerose fazioni ha difeso i propri interessi e il proprio territorio.
Non si può infatti semplicemente dividere il fronte in due, ribelli e governo. In Siria si incrociano molte linee di tensione. Una è il piano etnico: i curdi al nord rappresentano quasi il 10 per cento della popolazione. Da sempre in cerca di autonomia, si sono presto uniti alle proteste contro il regime, ma si sono poi estraniati per assumere il controllo del proprio territorio. Via via si sono accentuati scontri sanguinosi tra i curdi e le fazioni islamiste dei ribelli, ispirate ad al-Qaeda, finché con l’emergere dell’Isis si è arrivati alla battaglia simbolo per la città di Kobane, e i curdi sono diventati il simbolo della lotta contro il califfato. La possibilità di una maggiore autonomia curda è però storicamente malvista dalla vicina Turchia.
Tra i ribelli i primi a scendere in campo e a ottenere il riconoscimento internazionale sono state le fazioni laiche e liberali, pezzi di esercito che si sono ribellati agli ordini di reprimere le manifestazioni della Primavera, leader liberaldemocratici, esponenti moderati del vecchio regime. Hanno formato anche milizie armate come l’Esercito Libero Siriano, tutt’ora un interlocutore privilegiato dell’Occidente in Siria, ma più sulla carta che nella realtà, dato che presto hanno perso terreno venendo messi ai margini dalle altre forze in campo. Solo i curdi hanno tenuto botta con la difesa di Kobane, strategica e mediaticamente funzionante.
Intanto sul fronte dei ribelli sunniti è avvenuto un processo di islamizzazione, con l’arrivo dei fondamentalisti, che si sono andati radicando innestandosi sulla tradizione della citata rivolta dei Fratelli Musulmani, ispirati all’estremismo scaturito dagli attentati del’11 settembre 2001, sostenuti dai finanziamenti delle monarchie del Golfo Persico-Arabico, rafforzati per un anno dall’affermazione in Egitto dei Fratelli Musulmani dell’ora deposto presidente Morsi. I primi gruppi islamici erano ancora “controllabili” , legati alle monarchie del Golfo (con Arabia, Emirati e Qatar che non giocano tutti esattamente la stessa partita). Tra i vari gruppi religiosi però si andata presto affermando al-Nusra, legato ad al-Qaeda e ancora molto forte in Siria,forse il gruppo qaedista ad oggi più significativo tra quelli rimasti nel mondo arabo. Poi però da frammenti estremisti di al-Qaeda è emerso l’Isis, che proprio in Sira ha originato la sua ascesa: cogliendo l’opportunità della caotica guerra civile, ha sventolato la bandiera del sunnismo contro i governi sciiti di Damasco e Baghdad, e ha conquistato territorio, risorse e uomini. Ha fatto di Raqqa, nella Siria nord-orientale, la sua capitale, e ha colto l’occasione di una profonda crisi in Iraq per estendere il proprio controllo oltre il confine e il fiume Eufrate sul nord dell’Iraq. Nel mondo dei jihadisti la leadership è stata quindi conquistata dal gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, che però non ha unificato neanche quel fronte e continua a scontrarsi contro tutti, anche contro al-Nusra. Con una grande forza militare, enormi mezzi propagandistici, la capacità di attrarre volontari dall’estero (Europa compresa) e disponibilità finanziarie assai rilevanti,l’Isis è assurto a un ruolo egemone nell’intera galassia jihadista mondiale, eppure in Siria continua ad essere solo una delle tante forze in campo, limitata tra l’altro dall’essere il bersaglio principale della coalizione internazionale e dei suoi raid. In Siria l’ISIS mantiene da mesi un saldo controllo delle regioni orientali di Raqqa e Deir Ezzor, da cui è ripartito per conquistare i vicini territori iracheni. E dopo aver minacciato Kobane e il confine turco, di recente ha conquistato Palmira, che oltre ad essere una perla archeologica rappresenta un punto strategico perché controlla alcune rotte del deserto, comprese le strade verso l’Iraq e in parte verso Damasco. Di fatto ha così costruito un vero Stato con continuità territoriale al di qua e al di là del fiume Eufrate. Inoltre l’Isis minaccia Aleppo e Damasco, le maggiori città, dove però sono in ballo – oltre alle forze governative – anche altre milizie, secondo i vari quartieri.
Ci sono poi le forze straniere entrate militarmente in campo a fianco delle diverse fazioni. A parte le decine di migliaia di foreign fighters scesi in battaglia come volontari a titolo personale, ci sono le forze sciite dei governi amici di Assad, come gli Hezbollah libanesi e i pasdaran iraniani (almeno a sentire le opposizioni). Dei curdi si è detto, e va ricordato che hanno ricevuto rinforzi dai curdi iracheni. I turchi si agitano al confine e sono cominciate dopo lunghi tentennamenti le azioni turche in Siria, con il via libera alla costruzione di un’area di sicurezza oltre confine. Turchi che però combattono l’Isis ma sono ostili anche ai curdi. Paesi occidentali e paesi arabi fanno poi parte della coalizione internazionale che bombarda in Siria le postazioni dell’Isis senza però sostenere il regime di Assad.
Insomma un mosaico davvero complesso da capire anche per gli esperti, ma di cui è utile cercare di avere un’idea per i riflessi che esso ha oggi e forse ancor più domani anche sulle nostre vite quotidiane. La Siria infatti non è poi così lontana.
OSVALDO BALDACCI

29 Luglio 2015
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