Libia
4:30 pm, 27 Luglio 15 calendario

Il caos della Libia tra governi rivali e milizie irriducibili

Di: Redazione Metronews
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LIBIA La Libia è a un braccio di mare dall’Italia ed è un dovere e una necessità capire cosa vi sta succedendo. Ma per capire la prima cosa da sapere è che la Libia non esiste.  È ormai una mera espressione geografica che non risponde a un assetto istituzionale. Lo Stato come lo intendiamo noi non vi esiste più. O forse non vi esiste da tempo, considerando che già il regime di Gheddafi abolì le istituzioni: secondo la retorica dell’ex dittatore doveva governare direttamente il popolo (e cioè in pratica lui) senza l’esistenza di organismi politici come un parlamento, ma solo consigli rivoluzionari che però non ne svolgevano la funzione.  Quando nel 2011 Gheddafi è stato deposto e ucciso , una ampia serie di fazioni si è unita contro di lui, compresi elementi che lo avevano appoggiato. Ma appena il vecchio regime è crollato, il Paese è sprofondato nel caos perché nessuna delle milizie armate è voluta tornare nei ranghi di un processo civile e democratico. Ciascuno ha difeso la sua fetta di potere, il suo angolo di territorio. Per cui il Paese si è diviso in mille frammenti, che sono andati a cercarsi una copertura politica ma sostanzialmente rispondono per lo più a questioni tribali e feudali. 
In Libia si sovrappongono diversi conflitti e livelli di scontro
Dal punto di vista geografico la Libia è divisa in tre grani aree: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan con il deserto meridionale. In nessun periodo storico queste tre regioni hanno costituito un tutt’uno omogeneo. Così, appena caduto il regime, sono riesplose le beghe locali, soprattutto con la Cirenaica a rivendicare la sua autonomia se non indipendenza da Tripoli.
C’è poi lo scontro  religioso, se così si può chiamare. In realtà è una semplificazione che va a coprire realtà politiche. Comunque per fare un punto si può dire che in Libia sia sostanzialmente assente la componente sciita,  che è al centro di conflittualità in molti altri paesi mediorientali.  Vi sono invece realtà laiche, eredi della società di Gheddafi e anche di una parte internazionalista dell’opposizione al suo regime.  Al momento si identificano sostanzialmente con il Parlamento di Tobruk. Vi sono poi realtà islamiche ma non estremiste, amiche di Arabia Saudita e Qatar, e che di fatto controllano Tripoli e la  relativa coalizione politico-militare.  Infine ci sono i più radicali che si richiamano direttamente all’Isis, inteso soprattutto come marchio più che come dipendenza diretta. Questi si trovano soprattutto a Derna, in Cirenaica, che da tempo (da prima dell’Isis) si è costituita in città autonoma governata da un emirato islamico. A tratti questi elementi sono arrivati anche a controllare Bengasi, contendendola alle forze laiche.  Poi i fedeli del Califfo sono presenti anche a Sirte, e infine in alcune aree dell’ovest libico, ai confini tunisini, dove gestiscono campi di addestramento che vengono usati anche per compiere attentati in Tunisia.
Questa suddivisione rispecchia almeno in parte quella politica. In Libia vi sono infatti due governi e due parlamenti. Quello di Tripoli è stato il primo ad essere eletto dopo la caduta di Gheddafi, e come detto era ed è dominato da elementi islamisti. Esso si basa su una coalizione di milizie – soprattutto della Tripolitania – di ispirazione islamista chiamata “Alba della Libia”.  Quando ci furono nuove elezioni questi gruppi non riconobbero il risultato e mantennero in piedi le precedenti istituzioni. Quelle elezioni avevano infatti dato la vittoria ad elementi laici, che hanno costituito il nuovo Parlamento e il nuovo governo, riconosciuti dalla comunità internazionale e dell’Onu. Dovevano insediarsi rispettivamente a Bengasi e a Tripoli (in omaggio a una nuova visione decentrata) ma in realtà da un anno stanno a Tobruk, perché motivi di sicurezza impediscono loro di raggiungere le due principali città libiche. Un alleato importante di Tobruk, e un “uomo forte”, è il generale Haftar, che con la benedizione di molti  lanciò un’offensiva per ripristinare l’ordine i Libia e in particolare per riconquistare la Cirenaica strappandola agli estremisti islamisti, ma l’operazione si è arenata e Haftar è diventato solo una delle tante forze in campo, anche se forse la maggiore. Tra i due governi di Tripoli e di Tobruk (e tra la miriade di milizie locali che regolano i propri conti richiamandosi agli uni o agli altri) infuria una cruenta guerra civile cui le Nazioni Unite stanno tentando dimettere fine. Con qualche successo a senza arrivare mai alla quadratura del cerchio. A luglio è stato raggiunto un accordo quadro che però Tripoli non ha ratificato. La vera tregua si è avuta più che altro grazie al terzo incomodo che gode fra i due litiganti, cioè l’Isis, o comunque quelle milizie e quei gruppi in realtà già da tempo esistenti in Libia che si sono richiamati negli anni a vari ispiratori e che ora si giovano del cappello del Califfato come più funzionale a veicolare le loro istanze e i loro interessi. La loro forze reale e potenziale ha suscitato abbastanza attenzione da spingere i due contendenti ufficiali a essere più prudenti.
Questo a grandi linee, ma si potrebbe aggiungere che ad esempio nel sud da tempo si scontrano gruppi di tribù e di etnie nomadi, ad esempio i Tebu contro i Tuareg. Che le varie milizie cittadine e regionali ammontano  a circa 2 o 300 realtà. Che le più importanti tribù libiche sono almeno cento (sebbene le più importanti e decisive siano quattro: i warfalla, i ghadal, i megarha e gli zuwaya).
A tutto questo vanno aggiunti due ulteriori elementi di cui tener conto: il petrolio e l’anarchia. Nel caso del petrolio è facile spiegare che il controllo di questa risorsa, del gas, dei pozzi di estrazione e delle vie di commercializzazione è essenziale e molte delle forze in campo in realtà si occupano più di questi obiettivi e dei relativi profitti che divere rivendicazioni politiche o religiose. Per quanto riguarda lo stato di anarchia manifesto da quanto illustrato fin qui, è importante da tenere in considerazione perché accanto alle istanze politiche ed economiche esso genera tante piccole opportunità locali gestite dai potentati in piena autonomia e fuori da qualsiasi schema: per essere concreti, i rapimenti di stranieri e il traffico di migranti rientrano molto in quest’ultimo aspetto, di briganti locali pronti a cogliere occasioni di profitto al di là di ogni remora e di ogni quadro politico nazionale o internazionale.
OSVALDO BALDACCI

27 Luglio 2015
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