Toghe verdi
8:32 pm, 21 Luglio 15 calendario

“Così aiuto i popoli a combattere chi inquina”

Di: Redazione Metronews
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Roma. Quando Luca Saltalamacchia prepara il passaporto, c’è qualche popolo del Sud del mondo che può tirare un sospiro di sollievo. Avvocato napoletano, investe la maggior parte delle proprie energie, e del mestiere, per difendere cittadini colpiti da disastri ambientali. Una toga verde internazionale, che collabora con le Ong Re:Commons e Sejf, fondazione internazionale per la giustizia ambientale. 
Come è cominciata?
Sono sempre stato attivista di associazioni pacifiste. Nel 1992 ero tra i 500 che marciarono nella Sarajevo sotto assedio. Un’esperienza che mi ha segnato. Dopo la laurea ho approfondito le tematiche relative alle violazioni dei diritti ambientali intese come violazioni dei diritti dell’uomo. 
La Bp dovrà pagare 18,7 miliardi di dollari al governo Usa e agli Stati affacciati sul Golfo del Messico per il più grande disastro ambientale degli Usa. Fuori dai confini italiani qualcosa si muove?
Sì, ma non basta. È sempre più complicato l’accesso alla giustizia da parte delle popolazioni vittime di violazioni.
Come funziona concretamente la sua attività?
Mi segnalano una situazione critica, e vado proprio lì, dove accade la presunta violazione. Incontro le comunità locali, i leader, preparo la contromossa, che quasi mai è una causa.
E cos’è? 
Scrivo alla multinazionale, a vari livelli. Faccio presente che c’è stata una violazione, chiedo un incontro, facciamo capire cosa potrebbe accadere. Cerchiamo una soluzione.
E la trovate?
A volte sì. Come nel caso della diga Ilisu, in piena Mesopotamia, nel Kurdistan turco, che vedeva coinvolta la Unicredit. Scrivemmo e ci rispose subito. Proponemmo incontri con le associazioni e accettarono: la diga avrebbe sommerso un’area dove vivevano 80mila kurdi che il governo turco non aveva intenzione di sistemare in nessun altro posto. La diga avrebbe impattato un’area archeologica importantissima. Alla fine il progetto è stato abbandonato.
Dall’altra parte del tavolo: Eni ed Enel. Qual è la difficoltà proncipale?
Prendiamo la centrale idroelettrica in Guatemala con cui una società controllata da Enel ha occupato aree Maya: le acque sono intorpidite, centinaia di pesci morti. Al tavolo arrivarono con i militari sostenuti dai governi locali. Ecco: dove pende maggiormente la responsabilità? Politica o imprenditoriale? Entrambe, direi. Ma spesso è inestricabile.
Il suo sogno?
Che si possa creare una Corte europea con competenza dei crimini ambientali. Solo così si potrà fare chiarezza tra le società controllate e la controllante. E far accedere alla giustizia ai popoli vessati.
STEFANIA DIVERTITO

21 Luglio 2015
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