Spesa pubblica L’Italia si metta a dieta
Presentando la sua prima Finanziaria non di coalizione, il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha annunciato un significativo taglio alla spesa pubblica (pari a 12 miliardi di sterline per la fine della decade, equivalenti a 16,7 miliardi di euro), compensato in parte da un aumento del salario minimo dei lavoratori. Il messaggio del governo conservatore di Sua Maestà sembra chiaro: d’ora in poi lavoro e sviluppo saranno perseguite in Gran Bretagna non più foraggiando la spesa pubblica improduttiva e le aziende dello Stato ma al contrario favorendo l’incremento della produttività delle aziende private che decidono di investire e misurarsi con una maggiore concorrenza nel mercato.
Da noi si continua invece a voler seguire una ricetta opposta, tanto logora quanto perdente: ostacolare lo sviluppo delle imprese, tagliare gli investimenti pubblici, rinviare sine die ogni azione politica di spending review (nonostante da tempo siano stati ben individuati i centri di spesa da eliminare) e consentire un aumento costante incontrollato della spesa pubblica corrente. Rispetto al 2009 l’Italia ha infatti tagliato del 30% la spesa pubblica per investimenti, passata così dai 54,2 miliardi nel 2009 ai 38,3 miliardi nel 2013, con una riduzione di circa 15,9 miliardi di euro. Nello stesso periodo la spesa pubblica complessiva (cioè compresa quella corrente) è comunque cresciuta di 12,8 miliardi (fino agli 817,5 nel 2013), con un aumento attribuibile solo in parte all’incremento degli interessi sul debito pubblico (+8,7 miliardi).
Nel Regno Unito, invece, la spesa pubblica è diminuita in cinque anni di 2,2 punti percentuali (passando dal 46,6% del Pil nel 2008 al 44,4 nel 2014). Una dieta salutare, di cui avrebbe un gran bisogno l’Italia. L’attuale trend, già penalizzante per le nostre imprese, potrebbe infatti avere presto un impatto micidiale anche sulle stesse famiglie, dal momento che i mancati tagli alla spesa pubblica corrente faranno scattare le clausole di salvaguardia contenute nella legge di Stabilità (aumento dell’Iva nonché delle tasse sugli immobili e degli Enti locali): un macigno di ulteriori 72 miliardi di tasse nel triennio 2016-1018! Sarà per questo che la fuga dei lavoratori italiani in Gran Bretagna (12.904 espatri nel solo 2013) sta assumendo dimensioni sempre più importanti?
MASSIMO BLASONI
Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavor
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