Docenti a Piazza Farnese per i diritti della vera scuola

In un pomeriggio di nuvole vaganti e caldo torrido, in una Roma che si scopre non più lupa ma vacca da mungere, le donne e gli uomini del sapere critico, dell’integrazione, della democrazia, camminano per le strade bellissime della città portando i loro striscioni per dire definitivamente no alla peggiore, tra le riforme cadute dall’alto e finora subite, che avrebbero potuto immaginare.
Non sono in tanti stavolta, ma rappresentano davvero, come se ne fossero il distillato più forte, tutti quelli che sono sinceramente preoccupati dal rischio di una deriva autoritaria e autocratica, dal pressapochismo, dalle deleghe che impediscono qualsiasi possibilità di contrattazione, contenuti in questo disegno di legge che, pur emendato e rappezzato, rimarrebbe un’ impresentabile camicia di forza imposta a chi, invece, una seria riforma della scuola la accetterebbe coraggiosamente e con spirito costruttivo.
Mentre nelle sedi istituzionali le opposizioni attaccano a colpi di emendamenti e il governo risponde con improbabili quanto incoerenti concessioni, a testimoniare l’imbarazzo di un soggetto “impolitico” che ha probabilmente capito -troppo tardi, ormai- di aver costruito una sorta di “mostro” che non piace più nemmeno alla Gelmini e rischia di diventare un’arma a doppio taglio perfino per se stesso, gli insegnanti marciano verso il redde rationem.
Sanno che la cosa migliore per tutti, fatti salvi i sacrosanti diritti dei precari, sarebbe buttare nel secchio della spazzatura questa specie di ircocervo malnominato Buonascuola” e ricominciare da capo, restituendo alla scuola pubblica il ruolo fondamentale e la dignità che le stanno sottraendo da anni, a partire da trattamenti economici che li rendano simili ai colleghi europei e costruendo un sistema complessivo di valutazione- formazione intelligente ed efficace, per migliorare, non per competere.
Gli insegnanti non sono conservatori; hanno le loro proposte e sono capaci di discuterle, non aspettano che questo: mentre arrivano a Piazza Farnese con i loro striscioni e le loro teste pensanti cantano emozionati l’inno d’Italia. Già, l’Italia, povera patria, così poco amata da chi la governa da volere affossare la sua parte migliore.
PAOLA MASTRANTONIO, insegnante del gruppo Gessetti Rotti
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