D&G, se una mutanda non è più una mutanda
Vicino a casa mia c’è un grande vivaio meravigliosamente fornito di piante e tutto quello che serve al giardiniere. Soprattutto è l’unico. Per trovarne un altro devo fare parecchi chilometri. Però non ci vado più. Perché qualche anno fa mentre ero alla cassa la conversazione tra la proprietaria e una cliente “sugli zingari e i marocchini” mi ha urtata parecchio e quindi ho deciso di boicottare il negozio, rendendomi la vita più scomoda ma il cuore più leggero. Straparlare di zingari non è la stessa cosa che sostenere legittimamente la famiglia tradizionale come ha fatto Domenico Dolce, anche se definire i figli in provetta bambini sintetici non sembra una frase fatta per ingraziarsi i genitori di quei bambini. Comunque non vedo lo scandalo se poi qualche cliente vip pensa di boicottare gli abiti della coppia D&G perché valuta le loro idee retrograde e contrarie alla propria etica.
C’è chi parla a sproposito di attacco alla libertà di pensiero, che è una cosa seria e quindi non c’entra nulla con questa faccenda. Come se poi non ci fosse anche la libertà di cambiare marca di lingerie. Ci fanno una testa così con il “brand”, per cui una mutanda non è più una mutanda e basta ma una sorta di golden card di adesione a un sistema di valori e alla community che lo condivide. Ecco, D&G in nome della libertà di pensiero hanno forse toppato sul brand e sulla loro community di riferimento, ma tanto di cappello. Basta che nessuno poi si scandalizzi se uno dei loro testimonial li manda pubblicamente a quel paese.
PAOLA RIZZI
@paolarizzimanca
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