Così l’azzardo spappola le famiglie
Alla slot. Sedia comoda, ampia, ergonomica. Sullo schermo colori ipnotici, suoni ripetitivi e insinuanti. Ci stai come un pascià. Ma porca puttana, le tre ciliegine si fermano appena sotto le due allineate. Ti alzi, e passi al bancone. Maneggi avido il cartoncino che garantisce l’eternità del tuo conto. Con delicatezza elimini la nebbia dalle caselle. Il numero che esce è di poco minore a quello che vince. Hai perso per un pelo. E quindi riprovi. Trucchetto elementare, il comodoso e il mancato per poco. Le probabilità di vincere sono circa dieci volte minori di quelle che hai di schiantarti con un aereo, ma lo schianto della dipendenza è super probabile. Lo Stato è complice, caro Renzi. Informati. Quella sicumera che sventoli usala contro le lobby aguzzine. Non lasciare alle piccole eroiche associazioni (AND) o campagne dal basso (Slotmob) il compito di fermare il mare. Il tessuto dei disperati mette radici nell’azzardo. Spappola intere famiglie. Boicottiamo i bar con le macchinette odiose e quei banconi dove scendono le tendine luccicanti, perché li abbiamo sotto gli occhi e ci fanno schifo. Ma c’è anche l’online casalingo, il Toto ovunque, le Lotterie. Siamo circondati. E se non va giustamente chiamato gioco, non va chiamato nemmeno azzardo. La parola ha il suo valore temerario. Azzardare sta per non accontentarsi. È la chiave per scoprire, rinascere. Osare un’altra strada. Pericolosa, certo, ma verso la quale investi te stesso. Verso la quale ti metti in gioco. Eccolo, il gioco d’azzardo. MAURIZIO BARUFFALDI
Giornalista e scrittore
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