Questi scoraggiati mi sembrano troppi
Ci risiamo. Escono i dati Eurostat e si torna a parlare di “scoraggiati”. Secondo la fotografia scattata dall’Istituto di statistica europeo venerdì scorso, in Italia nel terzo trimestre del 2014 ci sarebbero – oltre ai tre milioni di disoccupati – circa 3 milioni e 600mila persone che un lavoro lo accetterebbero pure, ma non lo cercano più. Un esercito di scoraggiati, appunto, di disoccupati che non provano neanche più a cercarlo, un lavoro. Un esercito che vale il 14,2% della forza lavoro di casa nostra.
Per farsi un’idea di quanto sia mostruoso questo dato, basta dire che la media Ue, in rapporto con la forza lavoro, è del 4,1%. In Germania la percentuale di scoraggiati scende addirittura all’1,2%. Vabbè, in Germania… Vediamo allora come va in Grecia. E qui arriva la sorpresa. Perché anche nel paese di Tsipras e delle misure pesanti della Troika, dove la disoccupazione è al 25% contro il 13,4% dell’Italia, gli scoraggiati sono appena l’1,9% della forza lavoro, peraltro esigua per forza di cose.
Detto per dovere di cronaca che anche in questo campo l’Italia è spaccata in due, con il Nord che registra un 6,5% che lo avvicina alla media europea mentre il Sud sprofonda al 30,7%, sorge spontanea una riflessione. Ma è davvero possibile che nell’Italia ci siano oltre tre milioni e mezzo di persone che, pur non avendo un lavoro, non facciano nulla per cercarlo? Tre milioni e mezzo di persone che, a differenza dei disoccupati che il lavoro non ce l’hanno allo stesso modo ma lo cercano in tutti i modi, si possono permettere di stare a casa ad aspettare la provvidenza?
Beh, secondo me no. Mi viene da pensare che in un paese dove il grigio è un colore sempre più di moda, tra le fila dell’esercito degli scoraggiati ci siano anche tanti lavoratori in nero. Gente che in qualche modo il pane a casa lo porta ma che non fa nulla per cercare un lavoro “vero”, in chiaro, nel rispetto delle regole, perché fatti due conti gli conviene così. Una distorsione tutta italiana, prodotto di un mercato del lavoro inefficiente e di controlli sul lavoro irregolare che non producono i risultati che dovrebbero. Una sconfitta per lo Stato, che di sociale ha sempre meno.
MICHELE CAROPRESO
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