Spazio
10:32 am, 25 Dicembre 14 calendario

“Per centrare la cometa Rosetta ha usato una… fionda”

Di: Redazione Metronews
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Può la tecnologia infondere ulteriore magia allo stupore che proviamo osservando una cometa? Oggi la risposta è certa: sì. Una scintilla scoccata il 2 marzo 2004, a Kourou (Guyana francese), con l’accensione di Ariane5, il vettore che, dieci anni dopo, avrebbe portato il satellite Rosetta e il “laboratorio d’analisi” Philae a raggiungere una cometa che, tanto per intenderci, in prossimità del Sole (perielio) passeggia alla velocità di 136.000 km/h. Ma le difficoltà non sono mancate.
Mario Salatti lavora per l’ASI, Agenzia spaziale italiana, è uno dei tre program manager della missione europea “Philae”  a bordo della missione dell’ESA, Agenzia Spaziale europea “Rosetta” (è una cooperazione tra gli Stati Europei, tra i quali l’Italia ha rivestito il ruolo primario di realizzare gli strumenti d’analisi contenuti in Philae, predisposto per posarsi sulla superficie cometale).
Racconta Salatti a Metro: «La cometa che abbiamo raggiunto (il cui nome è Churyumov-Gerasimenko, codificata anche come 67P, ndr) non era quella prescelta. Nel dicembre del 2002, il nostro obiettivo era la 46P/Wirtanen, ma un lanciatore Ariane5 fallì fragorosamente sulla rampa due mesi prima del lancio , dovemmo rinviare il lancio troppo a lungo e perdemmo l’occasione. Fu così che ci orientammo verso la cometa 67P, scoperta nel1969, raggiungibile in quel momento. Rifacemmo tutti i calcoli e modificammo Rosetta e Philae anche per adeguarci alla maggior gravità della nuova cometa, il tutto in tempi record. Per intercettare 67P, per di più, sono occorsi due ulteriori anni di viaggio e ben tre passaggi (flyby) intorno alla Terra e uno intorno a Marte per acquisire la necessaria velocità».
I satelliti sono i prodotti più evoluti dell’uomo, eppure viaggiano in maniera simile ad un sasso lanciato da una fionda. Dieci anni di volo ad una temperatura prossima allo zero assoluto (-273 °C.) «..nel corso del quale, ben due anni e otto mesi di ibernazione.»
In che senso, insgegnere?
«Dall’8 giugno 2011 al 20 gennaio 2014, Rosetta era troppo lontana dal Sole per poter tenere cariche le batterie (è il primo satellite fuori orbita terrestre alimentato da pannelli solari, ndr) e quindi si è semplicemente spenta, con la programmazione di riattivarsi alla data corretta. È stato uno dei momenti più emozionanti e complessi. E se non si fosse riaccesa? E se, specialmente, non avesse elaborato il punto esatto in cui si trovava nello Spazio? Se il suo segnale non avesse trovato la Terra? Rosetta si sarebbe smarrita per sempre. Ma ha funzionato…»
Nonostante tutto, il rendez-vous con la cometa è stato solo l’inizio. Ciò che è accaduto dopo, richiama per molti versi il mito di Davide e Golia.
«In effetti, Rosetta ha lanciato Philae, il “laboratorio” europeo, quasi come una fionda. Niente propellente, solo una spinta impressa da qualcosa di molto simile ad una molla sebbene, ovviamente, direzione e forza impressa erano stati calcolati all’infinitesimale. Dopo di ciò, Rosetta ha continuato e continuerà a scortare 67P per osservare la cometa e anche per ritrasmettere a Terra i dati provenienti da Philae».
Quasi un accometaggio di fortuna.
«Fortuna e sfortuna assieme – sorride l’ing. Salatti – perché si pensava che ad accogliere Philae ci sarebbe stato un suolo morbido, purché non tanto da farlo sprofondare. L’idea era di appoggiarci con i tre piedi e, mentre un piccolo razzo posizionato “al contrario” avrebbe spinto Philae verso il basso, tre viti ai suoi piedi avrebbero dovuto impegnare il terreno, e due arpioni ancorare saldamente il nostro laboratorio. Ma il suolo era molto più duro di quanto avessimo ipotizzato e, per di più, il razzo non ha funzionato, ma questo era noto dalle procedure di check fatte la sera prima per dare il GO alla separazione (un rischio accettato). Ciò che non era previsto era il non funzionamento degli arpioni. Ancora non sappiamo cosa sia accaduto, ma dieci anni nel duro ambiente spaziale possono provocare malfunzionamenti al momento dell’attivazione. Ed è rimbalzato a circa 1 km di distanza. Letteralmente. Philae ha ”rotolato”, saltato due, forse tre volte, urtato come una pallina, e alla fine si è fermato non si sabene in che punto».
In che senso?
«Non lo sappiamo con precisione, ma di certo è una zona in ombra, forse un anfratto. E ciò significa due cose. La prima è che le batterie si stanno ricaricando molto più lentamente del previsto, e quindi ci vorranno mesi prima di riavere Philae di nuovo operativo. La seconda è che saremo protetti dal Sole quando il 13 agosto, 67P  sarà in piena attività cometaria (con la chioma prodotta dalle polveri alzate dall’attività solare) e quindi forse riusciremo ad analizzare in prima fila ciò che accade in questa fase spettacolare!»
Fortuna nella sfortuna.
«Era anche previsto che, nell’arco di tempo tra lo sgancio di Rosetta e l’accometaggio, una fotocamera avrebbe dovuto scattare dieci fotografie e fermarsi al momento del touchdown. Le foto sono state scattate e il primo impatto ha fermato la sequenza. Se la fotocamera non si fosse fermata a causa del fortunoso accometaggio, vi sarebbe stata una quantità di scatti successivi, sovrascritti sui precedenti, con impresse sequenze casuali, visto l’assetto allegro dopo il rimbalzo, magari anche solo del nero cosmico».
Che cosa è stato scoperto finora?
«Ci sono sostanze organiche, come alcani ma anche formaldeide, quindi molecole complesse e c’è acqua, ma non del tipo che si ipotizzava. In parole semplici,  in media l’idrogeno che la compone non ha lo stesso peso atomico di quello dell’acqua terrestre, il che sta facendo discutere gli esperti».
Cioè?
«Poiché non può essersi formata direttamente sulla Terra, si ipotizzava che la nostra acqua fosse arrivata principalmente dalle comete come questa, dette gioviane. Invece questa scoperta “disturba” questa teoria in buona misura e riapre completamente la discussione indicando come maggiori candidati gli asteroidi».
Magari proviene da un altro tipo di comete.
«Chissà. D’altronde c’è una zona alla periferia del sistema solare, la Nube di Oort, dove ve ne sono a miliardi. Ogni tanto, un qualche evento ne perturba una, che esce dalla Nube e “cade” nel Sistema Solare. Qualche anno fa, una cometa ha impattato Giove e, di conseguenza, vi ha rilasciato anche dell’acqua.»
Salatti, perché andare su una cometa?
«Il disco proto solare è stato il prodotto di molti materiali espulsi da generazioni di stelle precedenti al Sole, lo dimostra la varietà di elementi chimici presenti, altrimenti vi sarebbe solo elio e idrogeno. A loro volta, la Terra e tutti i grossi corpi del nostro Sistema Solare si sono formati per accrescimento per i numerosi urti di piccoli oggetti: di quei mattoni fondamentali alcuni sono sopravvissuti: le comete e gli asteroidi. Le comete, dunque, sono rimaste grossomodo invariate da 4,6 miliardi di anni fa, cioè erano presenti quando il nostro Sistema Solare ha iniziato la sua formazione. Osservarle oggi è come gettare uno sguardo nel passato e così si possono carpire i segreti delle origini del nostro piccolo mondo, il Sistema Solare. Non è una finalità dichiarata ma, ora che ci siamo “saliti” sopra, perché non dare anche uno sguardo per cercare eventuali tracce o indizi della nascita della vita? D’altronde, non si può escludere che le comete siano il meccanismo attraverso il quale è stata portata la vita, non solo sulla Terra ma su chissà quanti altri pianeti.»
Siamo nei giorni del Santo Natale. Una cometa guidò gli uomini verso il luogo della Nascita. Oggi la storia potrebbe ripetersi e, in tutto ciò, non vi sarebbe alcuna contraddizione.
FABIO GALETTI

25 Dicembre 2014
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